Domenica scorsa su di un sito informativo qui in Valle d'Aosta è uscito un articolo che prefigurava nuove alleanze politiche con molti dettagli credibili ed altri meno. In sostanza, come si dice ormai comunemente, si sarebbe trattato di un "ribaltone" e cioè di un'operazione di cambio di maggioranza e di governo. Avvenimenti del genere, prodottisi in Valle d'Aosta nel corso della storia dal dopoguerra ad oggi, si sono ormai accentuati sin dagli anni Novanta e sono diventati parossistici nel corso dell'ultima e breve legislatura del Consiglio Valle con lo stupore crescente dell'opinione pubblica e talvolta persino degli addetti ai lavori. Per cui, alla fine, per quanto molti elementi dello scoop fossero scricchiolanti, tantissimi che hanno letto del piccolo golpe in atto ci hanno creduto ed in quel pomeriggio ho dovuto - per telefono o via messaggio - rispondere a chi mi chiedeva lumi, sostenendo da parte mia l'improbabilità dell'evento.
Un approfondimento avvenuto più tardi mi aveva per altro confermato che si trattava di un ballon d'essai da non prendere sul serio. Il commento dunque si è poi spostato sui perché fosse uscito questo retroscenismo e si oscillava su di un scherzo carnevalesco o da 1° aprile sino a «vediamo l'effetto che fa» per chi ci pensa e qualcuno ha gridato ad un complesso sistema cospirazionista o di copertura con fumogeni di ben altri problemi. In contemporanea a Roma andava in onda un'ennesima crisi di governo: specialità all'italiana, che ha fra nuovi governi e rimpasti un record mondiale, e vi risparmio cifre e statistiche, che sono depressive. Questa volta ci si avvia verso un "Conte ter" che dovrà accontentare, a meno che al Quirinale non salti la mosca al naso, appetiti fortissimi scaturiti dalla cueillette di voti al Senato degni di un caleidoscopio, cui dovrà corrispondere l'opportuno... ristoro. Insomma: l'ingovernabilità si staglia come un obelisco nella piazza della democrazia. Ha scritto sulla "Treccani" sul tema governabilità il professor Gianfranco Pasquino, che fu mio collega in Parlamento: «Non esiste una definizione comunemente e concordemente accettata di "governabilità". Anzi, molto spesso il termine usato è "ingovernabilità", oppure si parla di "crisi di governabilità". Acquisire, o mantenere, la governabilità è quindi considerato un problema. Governabilità è, in qualche modo, la capacità di governare, la possibilità di governare, l'abilità di governare. Un sistema politico e una società sono, a loro volta, governabili a determinate condizioni. Oppure possono essere o diventare ingovernabili. Fintantoché esistette la governabilità, essa non costituì un problema né analitico né, tantomeno, politico. Veniva data per scontata: quindi non si studiarono né le sue cause, né le sue componenti, né le sue conseguenze. Però all'inizio degli anni settanta e per tutto il decennio, in seguito a fenomeni complessi di cambiamento, i sistemi politici occidentali, e quindi gli stessi regimi democratici, parvero investiti da una crisi di governabilità». Più avanti aggiunge: «A lungo trascurata come elemento importante della vita dei sistemi politici, mentre talvolta l'instabilità veniva addirittura teorizzata come elemento creativo del cambiamento, la stabilità politica viene apprezzata proprio allorquando appare più difficile da ottenere e da mantenere, quando se ne segnala la scomparsa e si attribuisce a questa scomparsa l'inizio della crisi di governabilità. Purtroppo, molti autori non procedono alle necessarie specificazioni relative alla stabilità cui si riferiscono: stabilità di quali attori, di quali regole e procedure, di quali strutture politiche? Si finisce così per confondere l'instabilità dei governanti e delle loro politiche con l'instabilità dei governi e delle forme di governo, l'instabilità dei governi (attraverso alternanze che si fanno più frequenti a cavallo dei decenni sessanta-settanta o alternanze che si producono per la prima volta) con l'instabilità dei regimi democratici (e quindi della stessa democrazia), l'instabilità della democrazia con l'instabilità del sistema economico cui essa è prevalentemente collegata (il capitalismo)». Mi fermo qui, segnalando che poi Pasquino raccoglie - e dall'epoca della scrittura altro è venuto - contributi scientifici sui perché del fenomeno e sulle misure adatte per invertire il fenomeno. Quel che è certo è che esiste la tentazione, come risposta anche in Valle d'Aosta, l'idea che sia la sola legge elettorale la panacea, magari come arriva oggi dalla sinistra più radicale con l'elezione del presidente della Regione (tema un tempo considerato dagli stessi proponenti rischiosa per la democrazia, ma invecchiando si diventa conservatori). In realtà la crisi è più profonda e riguarda la democrazia rappresentativa e gli stessi che ho citato aggiungono contraddizione a contraddizione, segnalando come una democrazia fitta di referendum popolari sia la medicina. Segno che dovrebbero mettere ordine nelle loro idee, già rese confuse dalla crescente tentazione di essere «di lotta e di governo», che stride già solo nell'ovvia contrapposizione fra i due atteggiamenti. Forse basterebbe, certo avendo numeri per governare per chi vince le elezioni con un sistema maggioritario non deflagrante, che in politica ci fosse lealtà e correttezza quando si stipulano gli accordi preventivi, evitando la tentazione - su cui faccio ammenda pubblica - di scrivere programmi congiunti che poi diano spazio a chi vuole imporre le proprie idee, interpretando aggettivi e avverbi, piegati alle proprie convinzioni. Quel che è certo è che, per quanto difficile da raggiungere. la governabilità resta un bene.