La forzata chiusura degli impianti di risalita in questa sfortunata stagione sciistica forse finirà: abbiamo ora la data del 18 gennaio e speriamo davvero che, con chiarezza nel protocollo di sicurezza, questa riapertura venga rispettata, altrimenti si passerebbe dal male al peggio. La paralisi, verificatisi nel periodo migliore della stagione, ha suscitato un ampio dibattito al quale hanno preso parte diversi soggetti ed il confronto a distanza è stato utile. Alcuni, però, hanno approfittato delle conseguenze della sciagurata pandemia per riprendere un'impostazione in verità tutt'altro che nuova: un "j'accuse" verso un modello di sviluppo del turismo invernale sulle nostre montagne, che ruota grossomodo da mezzo secolo attorno agli impianti ed alla loro utilità.
Intendiamoci: a parte il tono millenaristico di una parte del mondo ambientalista, caratterizzato da logiche intransigenti del tutto ideologiche, la questione del futuro dell'inverno sulle Alpi è tema giusto e legittimo. Pesa di sicuro, senza fare i catastrofisti dall'oggi al domani, il cambiamento climatico che, con l'aumento delle temperature se non ci saranno mitigazioni del fenomeno con scelte globali, inciderà sull'innevamento naturale ed artificiale, ma più in generale sul territorio e sui modi di vita. Quindi nessuno può avere il paraocchi, ma attenzione a credere che ci siano soluzioni sostitutive immediate e pure definitive nel solco del "turismo dolce". Per capirci così lo descrive Maurizio Dematteis sul sito "Dislivelli": «Dove il turismo di massa di massa è sostanzialmente quello dello sci da discesa: un turismo intensivo, pesante, universale, esclusivo, basato su scale territoriali sempre più ampie, molto rarefatte seppur destinate all'omologazione, esogeno, corporativo, autoreferenziale e dipendente da fattori esterni e incontrollabili, fortemente stagionalizzato e, infine, risolvibile in un mordi e fuggi. Mentre il turismo dolce è un turismo: estensivo, leggero, relativo, inclusivo, basato su scale territoriali piccole ma dense, endogeno, comunitario, extra-referenziale, destagionalizzato e indipendente da fattori esterni e incontrollabili. Il turismo dolce si definisce come tale perché ha un approccio di curiosità e di scoperta per i territori, non ricerca la mera riproduzione di una visione di montagna data dalla pianura ma ne scova i tratti caratteristici e le mille sfaccettature; è fatto dai singoli e da gruppi di persone, non dalle grandi SpA o multinazionali; predilige il contatto diretto con l'ospite e lo accoglie mostrandogli che non sempre vi è un camino tirolese ad aspettarlo, ma l'atmosfera appare non di meno calorosa; nell'offerta di turismo dolce sono importanti le attività complementari che ne decretano la polifunzionalità. La sostenibilità (ambientale, sociale ed economica) non è mero slogan bensì base per la stessa vitalità del comparto. Il turismo dolce è un'idea di montagna capace di futuro, dolce, leggera e sostenibile: dolce perché ha a cuore il rispetto dell'ambiente alpino, naturale e umano; leggera nella scelta dei mezzi di trasporto e delle attività, che rinuncia alle grandi infrastrutture impattanti e ai divertimenti rumorosi e inquinanti; sostenibile per il territorio, per chi lo vive e per chi lo frequenta, dal punto di vista ambientale, economico e sociale». E' un approccio rispettabile e su cui sono a pronto a confrontarmi senza pregiudizi e, tra l'altro, abbiamo in Valle d'Aosta vallate che sono già pronte a sperimentare nuove forme di accoglienza e di intrattenimento dei turisti che non vogliano ruotare attorno al solo sci alpino. Per cui non c'è nulla in sostanza da inventare, se non costruire questa alternativa, che pure ha già qualche esperienza e un certo numero di epigoni. Ogni sostegno e rafforzamento ad iniziative similari, che già vede nella rete degli agriturismi e dei rifugi vere e proprie eccellenze valdostane, va dunque incoraggiato. Penso, però, che pensare che questo impianto sia interamente sostitutivo degli impianti e dello sci sia una visione irrealistica, nutrita in certi casi di utopismo pauperista che non fa i conti con la realtà. Lo dico senza alcuna vena polemica o disprezzo, che talvolta qualcun altro mette nel dibattito con il gusto di denunce e di esposti, quando si agitano interessi occulti, speculazioni sordide, multinazionali cattive e simile repertorio. La discussione deve avvenire, invece, ma con rispetto reciproco e toni pacati: le Alpi sono un patrimonio da difendere, ma con inclusi i montanari e la loro economia. Almeno su questo immagino un fronte comune, da cui escluderei che condanna l'antropizzazione, cioè la presenza umana con un Natura buona in cui l'Uomo è da escludere. Tesi da manicomio.