Amo andare per ristoranti e considero questa mia predilezione una medaglia. Sarà che mangiare al ristorante da bambino era segno distintivo della domenica o di altro giorno di festa. Sa quindi anzitutto di famiglia e penso a tanti parenti che non ci sono più e me li ricordo ridenti e distesi, come solo lo stare insieme può dare. Ho una carta geografia mentale di ristoranti memorabili dall'infanzia in su. Danno un senso, dovunque fossero, in certi casi di continuità, perché ci sono ancora, in altri casi invece sono stato chiusi e magari non siamo in tanti a salvarne la memoria. A me i ricordi piacciono molto e magari il fil rouge può essere proprio un cibo, un piatto, un vino e poi si risale sino alle tavolate e alle compagnie. E ogni volta che vado in giro, quando posso, scelgo tappe ad hoc, che sia in altri Continenti o a pochi chilometri da casa con curiosità dalle stelle alle stalle, cioè dagli stellati agli agriturismi. Non bisogna andare troppo per il sottile, perché in qualunque posto, caro o economico, si può scoprire una perla rara.
Certo, come dicevo, l'aspetto conviviale conta molto. Sedermi da solo ad un tavolo per mangiare - quanto avveniva talvolta nelle mie serate a Roma a Bruxelles, quand'ero parlamentare - mi ha sempre messo una certa tristezza. Così come mi mette allegria stare in gruppo e questo in questo periodo mi è molto mancato. Cosa si meglio che ridere e scherzare con i piedi sotto la tavola con un bicchiere in mano? Quanto ci manca questa banale normalità, diventata un divieto? Lo abbiamo fatto per il nostro bene, non devo dubitarne, ma non sempre le scelte mi sono sembrate ineccepibili. In questi mesi il virus ha inciso in profondità - vorrei farne un caso di scuola - sulla ristorazione con chiusure, semiaperture, asporti e delivery. Ora, sotto le feste, si è scelta la chiusura e lo si è fatto danneggiando in modo cieco e senza un serio distinguo un comparto che già aveva sofferto più di altri. Francamente mi sfuggono le ragioni di tanta severità verso un settore a rischio tracollo. Infatti abbiamo preteso dai ristoranti una grande severità nelle misure di sicurezza per poi trovarsi paralizzati. Parlavo l'altro giorno in videoconferenza con Arno Kompatscher, presidente del Tirolo del Sud, che spiegava come da loro la pandemia avesse preso di nuovo vigore a causa delle molte feste private svoltesi nella Provincia autonoma. Condivisibile la sua osservazione di come i ristoratori, a fronte di una situazione di questo genere, si lamentino di questa sorta di concorrenza sleale palesemente insicura e foriera di contagi, a differenza di laddove nei locali si applicano misure stringenti e severe. Condivido a pieno e mi preoccupo per la faciloneria con cui il Governo Conte trascina le cose e lo si vede anche dal ridicolo prendere tempo per la riapertura degli impianti a fune, assurti nella fantasia dei medici che guidano la parte politica come vogliono, portandoli a spasso, come la quintessenza di tutti i mali. Così, come dicevo, per i ristoranti, che diventano senza alcun discernimento luogo di contagio e questa logica lascia straniti, mancando poi di fatto una conseguente dimostrazione scientifica, che dovrebbe invece essere alla base di qualunque scelta di cautela. Capisco bene che i mesi a venire risulteranno decisivi, anche per gli evidenti ritardi nelle vaccinazioni in Italia di cui nessuno alla fine risponderà, pur ben sapendo che la gestione è stata centralizzata dallo Stato. Ma trovo che divieti e privazioni non sempre siano logiche. Rispettare le rispetto per civismo, ma almeno lamentarmene è lecito, senza sottostimare la pandemia.