Lo scrivo perché non mi legge, altrimenti manterrei uno stretto riserbo. Più avanti capirete il perché. Premessa, prima di venire al punto: ieri mattina, come molti di voi, ho aperto i pacchi regalo. Ho scoperto che cosa ci fosse sotto l'albero e ho pure osservato la reazione dei miei cari nell'aprire i loro regali. Mi è già capitato in passato di ricordare come il termine "regalo" venga dal verbo "regalàre" (secolo XV), che vuol dire "donare". E' un prestito all'italiano da altre lingue romanze: dallo spagnolo "regalar, lusingare, far doni", in origine "festeggiare, far accoglienza" e dal francese "régaler, offrire un festino". Va detto, invece, come in italiano sia usato in modo diverso e lo vedremo nel termine "dóno" (1278), nel senso appunto di "regalo, omaggio", dal latino "dōnu(m)", dalla stessa radice di "dăre", nel senso di "ciò che è dato".
"Régal" in francese, nel senso di "dono", è sparito, mentre appunto resta vivo il verbo "régaler", nel significato generale di "offrir quelque chose à quelqu'un, agir de façon à lui plaire". In francese si è affermato "cadeau", che sarebbe: "présent, objet que l'on offre à quelqu'un sans rien attendre en retour ou dans l'intention de lui être agréable". L'origine della parola è assai curiosa: «le mot "cadeau" vient du provençal "capdel", qui vient lui-même du latin "caput": la "tête", et par extension le "chef". Au XVIIème siècle, le mot "cadeau" désignait une fête galante offerte à une dame et, par extension, il a pris son sens actuel: ce que l'on offre à quelqu'un pour lui faire plaisir. Ce mot "cadeau" vient du latin populaire "capitellus" dérivé de "caput, tête"; il a désigné la lettre capitale jusqu'au XVIème siècle, puis des paroles superflues enjolivant un discours, puis un divertissement offert à une dame et enfin le présent. C'est à la fin du XVIIIème siècle que ce terme a pris le sens qu'il a aujourd'hui». Complicatissimo, ma fa capire la profondità delle parole. Marcel Mauss, antropologo francese è stato autore del celebre "Saggio sul dono", libro diventato celebre e vera pietra miliare della antropologia culturale. In questo saggio Mauss descrive la socialità del dono nelle società arcaiche e primitive. Tre le caratteristiche fondamentali del dono: "dare, ricevere, ricambiare" e mostra come i tre fondamenti del dono fossero essenzialmente obbligatori all'interno delle comunità primitive da lui studiate. Si deve "dare" per mostrare la propria potenza, la propria ricchezza; si è nell'obbligo di "ricevere", cioè non si può rifiutare il dono, pena la scomunica della comunità ed il disonore; si deve "ricambiare", cioè restituire alla pari o accrescendo ciò che si è ricevuto: restituire meno di ciò che si è ricevuto è un'offesa al donatore. Nel "Saggio sul dono" si mostra quindi come gli individui delle società arcaiche fossero obbligati a donare. Il dono non è quindi pratica libera, è un obbligo sociale, è un vincolo comunitario, non è liberalità del singolo, non è disinteresse. L'obbligo al dono è indotto innanzitutto da vincoli comunitari e di onore, chi non partecipa al rito del dono, chi non è nella capacità di reperire e possedere oggetti da immettere nel circolo del dono è soggetto alla esclusione dal gruppo. Certi automatismi, consci o inconsci, pesano da allora sui nostri comportamenti. Ora verrò al punto ed a chi, come detto all'inizio, non mi legge. Alexis, dieci anni, crede ancora (o forse fa finta per farci piacere) in Babbo Natale. Per cui la sera del 24 ha sistemato biscotti (quelli di zenzero fatti con la mamma), bicchiere di latte e carote per le renne ed al mattino ha ammesso di essersi svegliato alle tre per controllare che fosse venuto a portare i regali chiesti da apposita letterina. Ora, mettiamo pure che sia una recita o che davvero ci creda, in barba ai compagni di classe "negazionisti", ma quel che conta è la forza e la bellezza del dono, che prescinde dal costo o dalla grandezza. Ognuno fa quel che può e offre, con il regalo, un pezzettino del proprio cuore.