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15 dic 2020

In ricordo di Cesare Quey

di Luciano Caveri

Piango la morte di Cesare Quey, farmacista del mio paese, Verrès. E' interessante ricordare come nei paesi una volta ci fosse una piccola élite di persone che erano un punto di riferimento per la comunità e non lo era per chissà quale classismo, ma perché esisteva una sorta di riconoscimento popolare per chi faceva certi lavori o «aveva studiato». La compagnia di amici dei miei genitori era così. Cesare era il più giovane fra di loro, ma del gruppo facevano parte il medico condotto Rinaldo Thoux, l'industriale della fabbrica di pentole Athos Callabioni, il direttore dello stesso stabilimento Vittorio Morandini, l'impresario Guido Freydoz e molti altri. Mio papà Sandro era il veterinario. Li sentivo da bambino, quando facevano le feste per ricorrenze particolari, rumoreggiare nella tavernetta di casa e qualche anno fa ho trovato delle pellicole girate proprio da mio papà.

Si vede nel clima goliardico questa joie de vivre di quei decenni del dopoguerra con un certo formalismo con le signore in abito da sera e gli uomini spesso in smoking o comunque in giacca e cravatta. Spiccavano per la loro bellezza mia mamma Brunilde e le sue sorelle Agostina e Floriana. Viene in mente, a pensarci, Cesare Pavese: «Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti». Della farmacia Quey ho un'immagine sfocata dell'infanzia: la mamma di Cesare che parla in francese con mio papà e - altro ricordo - Cesare giovane, immagino trentenne allora scapolo d'oro con quel suo eloquio raffinato ed il volto sorridente, seduto nel salotto buono di casa mia. Sapevo che amava viaggiare e non era così comune allora. Poi ricordo che in casa si parlava del suo matrimonio con la francese Annie e della nascita dì Alexis (che proseguirà con la farmacia) e di Gilles. Poi crescendo ho meglio capito la dimensione politica di Quey. Era stato con Cesare Dujany, che lui stesso sostituì in Consiglio Valle quando divenne deputato, fra i fondatori dei Democratici popolari, scissione della sinistra della Democrazia cristiana, premessa indispensabile per l'affermarsi dell'area autonomista. Ma Quey verrà ricordato soprattutto come sindaco in quella dimensione di democrazia di prossimità in cui si riconosceva e che gli consentì più tardi un ruolo importante negli anni cruciali della metanizzazione della Valle nella "Digrava" e poi in "Italgas". Ma è stato politico anche nel suo ruolo di difesa dei farmacisti ad Aosta come a Roma (dove lo aiutai da deputato), mai in una logica corporativa ma convinto davvero del ruolo sociale della sua professione per la quale si è speso in ogni dove. L'avevo visto non molto tempo fa e mi spiace che se ne sia andato d'improvviso. Resta spesso il rimpianto di non aver dedicato abbastanza tempo a persone di qualità che si conoscevano. Ricordo comunque certe belle chiacchierate e la sua curiosità intellettuale e certe visioni lucide dei mali della Valle d'Aosta. Terra che amava profondamente, così come era sempre disponibile e gentile con le persone, anche le più umili, cui si approcciava nel suo lavoro con profonda umanità d'altri tempi. Quando decisi nel 1987 di accettare la candidatura alla Camera in coppia con Cesare Dujany, suo faro in politica, lui, con grande affetto, mi disse, come mi chiamavano da piccolo: «Tanti auguri, Lucianino, vedrai che ce la farai assieme al mio amico César!». Parlammo spesso delle mie successive esperienze e la sua stima mi ha sempre onorato. Maintenant, repose en paix.