Certo che tornare ad occuparsi della Cosa pubblica di questi tempi non è uno scherzo. Non lo è perché la pandemia ha creato una situazione drammatica ed eccezionale e perché, come perniciosa eredità, veniamo da anni in cui si era affermata l'idea - ben espressa nel "grillismo" - che una persona inesperta e senza le conoscenze necessarie fosse automaticamente più onesta di una persona con un background alle spalle. Peccato che l'onestà non dipenda affatto da queste differenze di capacità e di conoscenze. O sei onesto o non lo sei. L'improvvisazione non paga in nessun lavoro e neppure in politica. Ma è rimasta ancora questa idea del "nuovismo" e del dilettantismo come un specie di valore. Sarebbe come se uno scegliesse un chirurgo per subire un'operazione delicata fra chi ha iniziato la carriera o un idraulico per un lavoro importante fra chi è ancora alle prime armi.
Intendiamoci bene: il ricambio delle persone e della freschezza delle idee è fondamentale ed è un elemento naturale di successione e di formazione. Il cui scopo principale è avere persone valide nei punti chiave e vediamo come in molti casi questo meccanismo si sia inceppato. Capisco la apparente banalità di queste mie righe, ma se ci si scava dentro si scoprirà che non è così. Ricordo tanti anni fa quando un consigliere regionale che tutti prendevano in giro perché - ottima persona - mostrava gravi lacune culturali quando le discussioni si facevano complicate. Lui, che veniva da esperienze in Comune, mi spiegò che lui era un amministratore non un politico, usando la parola "politico" come se fosse una parolaccia. Penso che sia ora di cancellare questa idea e vedere come si debbano conciliare i due aspetti complementari e non alternativi e lo farò non con una lezioncina in punta di diritto, ma con esempi concreti. Nei ruoli che ho avuto e che ho in Regione ci sono moltissime cose che devono o meglio dovrebbero essere fatte da dirigenti e funzionari in una logica di funzionamento in automatico. Ci sono invece momenti e passaggi in cui ci sono scelte da fare con alternative possibili e qui spunta il ruolo politico, che è assunzione di responsabilità non solo personale ma di un Esecutivo e delle Assemblee parlamentari. Ma anche in questo caso non ci siamo ancora: oltre alle scelte ci vogliono decisioni ed indirizzi su dove si vuole andare e per questo esistono i programmi, frutto di idee e persino di speranze. Altrimenti si resterebbe fermi in un infinito status quo. Questo in democrazia avviene nella dialettica continua fra modi di pensare e di vedere le cose spesso diversi se non conflittuali ed i meccanismi elettorali e istituzionali regolano il traffico. A complicare le cose - almeno così mi pare come elemento nuovo - è un ambiente di commentatori che si crea attorno a chi diventa decisore per mandato politico e che fa di certo dilettantismo una regola. Oggi, quando mi trovo a dover proporre soluzioni delicate, mi accorgo di come, accanto a chi deve compartecipare alle scelte, compaiano troppo spesso soggetti esterni disturbatori più che propositori. Nascono infatti come funghi comitati e "comitatini" che decidono di aggregare persone che legittimamente pongono problemi personali. Nulla di nuovo in realtà, ma lo è nella straordinaria pervicacia nel difendere posizioni indifendibili. Non siamo più nel quadro di interessi legittimi, di diritti da affermare, di punti di vista da spiegare, ma di interessi corporativi raramente sostenuti da ragioni giuridiche o da motivazioni di buonsenso. Il loro essere chiassosi e rivendicativi non li aiuta affatto ed i problemi da risolvere si perdono in visioni settarie e fideistiche con soluzioni proposte inapplicabili. E questo modus operandi è ben diverso dai gruppi di pressione o dai portatori di interessi con cui è naturale interloquire e fruttuoso confrontarsi. Bisogna perciò lasciar perdere quando i confronti diventano un dialogo fra sordi e si perde solo tempo, facendo della politica una sorta di caricatura e questo svilisce la democrazia, che è la ricerca di nobili compromessi.