Ci sono molte trasformazioni attorno a noi. Se avessimo la possibilità di tornare nel passato anche solo di un anno ci vedremmo così diversi! Ero lì che aspettavo che nevicasse per andare a sciare, guardavo un possibile viaggio in un ponte di dicembre, partecipavo a cene per vari festeggiamenti, ricordavo i quarant0'anni della "Rai" regionale. Tutto prima del buco nero che ci aspettava in agguato nel 2020. Aspettavo il Natale nella sua normalità. Ora la pandemia, che non appaia un paradosso, esalta il Natale nella sua anormalità. Nel senso che nel baratro della crisi sanitaria se ne parla a torto od a ragione e con una certa precipitazione rispetto al calendario. Segno evidente che si guarda in là per non troppo pensare a quanto avviene qui ed ora.
La ragione ce l'ha chi in Valle d'Aosta lo ritiene assolutamente essenziale il per il turismo. Non è infatti un mistero la constatazione del peso enorme di che questo momento di vacanza ha sia sugli impianti di risalita sia sulle strutture alberghiere e commerciali. Per cui è del tutto legittimo che ci siano notevoli aspettative sulla possibilità o meno di poter aprire in questo periodo pieno di incertezze. Eppure tutti sappiamo quanto sarebbe importante, e molti sforzi si concentrano su questo. Ha torto, invece, chi a Roma comincia ad occuparsi del Natale, immaginando cosa fare con pranzi e cenoni e pure con la tradizionale messa di Mezzanotte. Ci manca il "Dcpm" sotto l'albero con la statuina da presepe di Giuseppe Conte, che profetizzò anni bellissimi con i suoi Governi, facendosi una fama da menagramo e da saltafosso. Ha ragione chi inizia, a titolo consolatorio, a pensare anzitempo ai regali e c'è persino chi si è messo a fare l'albero ed a mettere gli addobbi in una logica che è anche beneaugurante. Mai come in questo momento esiste una fenomenale necessità di distrazione dalla cupezza del presente ed abbiamo bisogno di simboliche stelle comete che ci guidino nel porto sicuro del momento più intimo delle festività. Ha torto, per contro, la martellante pubblicità che sembra approfittare di questo nostro stato di necessità mentale e picchia duro sui sentimenti e sulla commozione, che già ci accompagna in questi tempi in cui ogni tanto l'umore finisce in fondo ai piedi. E solo lo stupore di un bambino piccolo, che ho la fortuna di avere, aiuta a guardare più in là, quando è ora di scrivere a Babbo Natale. In mezzo c'è l'attraversamento del deserto di questa seconda fase della pandemia, che ha reso tutto grigio e monocorde, specie per noi in zona rossa e come tali - malgrado noi - in fondo alla classe con il cappello d'asino. «Adda passà 'a nuttata» è una famosissima frase contenuta nella commedia "Napoli milionaria!" divenuta nel tempo celeberrima. Corrisponde questa frase esattamente allo stato d'animo. Gli si potrebbe far corrispondere il positivismo speranzoso ottocentesco di Louis-Auguste Martin: «Dans l'ordre intellectuel l'espérance pousse au progrès, aiguillonne la marche des idées, presse les découvertes de la science et de l'industrie, ouvre les mers aux expéditions lointaines, et montre un horizon de gloire au génie qui, à cette vue, s'élance impatient de son obscurité». Quel che conta, in fondo, è guardare avanti e in fondo questi Natali vari, tutti anticipati, offrono esattamente questa sensazione.