Domani si ricorderà il drammatico terremoto sull'Appennino del 2016, la cui prima scossa avvenne proprio il 24 agosto. Anzi, quella zona venne letteralmente martoriata anche da una serie di scosse successive così puntigliosamente riassunte da "Wikipedia": "Gli eventi sismici del Centro Italia del 2016 e 2017, definiti dall'INGV "sequenza sismica Amatrice-Norcia-Visso", hanno avuto inizio ad agosto 2016 con epicentri situati tra l'alta valle del Tronto, i Monti Sibillini, i Monti della Laga e i Monti dell'Alto Aterno. La prima forte scossa si è avuta il 24 agosto 2016, alle ore 3:36 e ha avuto una magnitudo di 6.0, con epicentro situato lungo la Valle del Tronto, tra i comuni di Accumoli e Arquata del Tronto (AP)".
"Due potenti repliche sono avvenute il 26 ottobre 2016 - si legge ancora - con epicentri al confine umbro-marchigiano, tra i comuni della provincia di Macerata di Visso, Ussita e Castelsantangelo sul Nera (la prima scossa alle 19.11 con magnitudo 5.4 e la seconda alle 21.18 con magnitudo 5.9). Il 30 ottobre 2016 è stata registrata la scossa più forte, di magnitudo momento 6.5 con epicentro tra i comuni di Norcia e Preci, in provincia di Perugia. Il 18 gennaio 2017 è avvenuta una nuova sequenza di quattro forti scosse di magnitudo superiore a 5, con massima pari a 5.5, ed epicentri localizzati tra i comuni aquilani di Montereale, Capitignano e Cagnano Amiterno. Questo insieme di eventi provocò in tutto circa 41.000 sfollati, 388 feriti e 303 morti, dei quali 3 morirono per via indiretta (causa infarto per lo spavento)". Qualche giorno dopo scrissi qui sul Blog: «Bisognerebbe approfittare della tragedia non solo per riparare i danni materiali, ma per capire se quel paese possa essere un modello di rinascita nel cuore dell'Appennino per un riscatto morale, produttivo e demografico senza il quale lo spopolamento si accelererà ancora. Nel passato l'unica risposta fu nel 1991 quella solita: inserire il paese nel "Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga". Ambientalismo burocratico che soffoca la democrazia locale, altro che sviluppo della montagna! Così viene sempre più marginalizzato l'uomo nella considerazione che sia una specie di accidente negli spazi naturali! Mi auguro che Amatrice segni dunque una svolta per avere - come un fiore sulle macerie - un Appennino di nuovo vivo e non sotto tutela». Un anno dopo tornai sull'argomento: «E' sempre difficile distinguere, nella vita come in politica, che cosa sia un progetto con una ragionevole speranza di concretizzarlo e invece cosa sia l'illusione di ciò che si sa già a priori che non si potrà realizzare. Come in tutto, ci sono "sogni buoni" - che ci aiutano a vivere - e "sogni cattivi", fatti già con una componente d'inganno che ha il gusto del veleno. Ci pensavo rispetto alle zone dell'Appennino colpite dal terribile terremoto estivo e dalla sua infinita coda di scosse di assestamento, martoriate da gelo e neve e prostrate anche dal dolore, più che comprensibile, delle popolazioni locali, cui mi lega il pensiero affettuoso di una comunanza fra quei territori e le nostre montagne. In più - per essere chiari - molti di quelli che sono rimasti lì, tenacemente legati alle loro radici, non lo fanno con il capriccio di non muoversi ad esempio verso gli alberghi a disposizione sulla costa, ma perché - penso agli allevatori di bestiame - andarsene avrebbe conseguenze irrimediabili. D'altra parte si sa bene che esiste nel legame con la propria terra qualcosa di immateriale e lo leggi nel volto delle persone intervistate alla televisione. La fondatezza delle loro preoccupazioni è da tenere in considerazione ed anche il tono della protesta avviene in modo civile e mai lamentoso o rivendicativo. D'altra parte chi ha creato illusioni, nel racconto di promesse di immediatezza difficili da mantenere per chiunque avesse un minimo di senno, oggi vede tornare al mittente, come un boomerang, certe dichiarazioni che davano l'inverno imminente - durante certe visite ufficiali in favor di telecamere - come facile da affrontare, perché si sarebbe disposto quanto necessario in tempi assai rapidi. Sentivo, con il crudo realismo di un tecnico che sa bene di che cosa parla, la portavoce della "Protezione Civile" nazionale, Immacolata Postiglione che - nel rispondere alle domande incalzanti di un giornalista del "Gr1" - faceva presente il quadro delle difficoltà di corrispondere con rapidità alle richieste delle popolazioni locali per il quadro giuridico e burocratico complesso, le condizioni climatiche difficili e l'orografia montana che certo non offre sempre soluzioni facili. Tutto giusto - ci mancherebbe - ma certe dichiarazioni di oggi stridono con l'ottimismo espresso, per primo, dall'allora premier Matteo Renzi, che aveva dettato un calendario irrealistico in molti sui passaggi ed oggi i montanari appenninici chiedono conto della situazione di ritardo e di disagio in cui si trovano immersi». Si sono succeduti Governi e Legislature, ma quattro anni dopo pochissimo è stato fatto per la ricostruzione, altro che promesse mirabolanti e soldi a pioggia per ricostruire. Questa è l'Italia, purtroppo. I dati sono chiari: 85 opere pubbliche concluse su 1.400 previste e 526 milioni di euro spesi rispetto ai 6 miliardi finanziati per la ricostruzione privata. Mi ero illuso che i precedenti terremoti, con scia di ritardi epocali, omissioni e ruberie, avrebbero permesso di cambiare marcia ed era un banco di prova per certi paladini del cambiamento arrivati nel frattempo al Governo. L'esito è tristissimo e sconsolante e la faccia ce l'avevano messa anche Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, spiegando che loro avrebbero fatto quanto annunciato senza esito dai predecessori. Aspettiamoci nelle prossime ore il rimpallo delle responsabilità. La sostanza: altro che nuovo modello per il futuro dell'Appennino con buona pace dei grandi summit (Stati Generali, poffarbacco!) sul futuro della Montagna italiana.