Una volta i partiti erano luogo privilegiato della formazione alla Politica. Oggi che sono diventati "liquidi", modo elegante per dire che sono organizzazioni ridotte all'osso con pochi iscritti ed una vita interna ridotta al lumicino, ci si chiede giustamente come dare informazioni di base e fare crescere le persone che si interessano alla politica, compresi in una scala ideale di salita, ruoli amministrativi, parlamentari ed esecutivi. Esiste certo la via dell'autoformazione e chi magari compie studi giuridici acquisisce elementi utilissimi e lo stesso vale per altre Facoltà che possono fornire strumenti assai preziosi. Ma poi esiste la realtà fattuale e quel patrimonio accumulato - penso alle mie diverse esperienze - che se non trasferito finirà per essere state inutili per la comunità cui appartengo. Questo significa un dialogo continuo e non solo quei corsi di formazione di alcune ore, in una logica da venditori di pentole in cui si cerca di concentrare tutto con tecniche di apprendimento artigianali.
Questo erano i partiti una volta: ci si incontrava, si discuteva, si passavano idee, si costruivano progetti, si apprendeva da vecchi saggi quel che le nuove energie giovanili potevano trasformare in cose nuove. Non vorrei dipingere un mondo fatato, tutto rosa e fiori e buone intenzioni. Ma è vero che certe passioni esistevano ed erano occasioni fisiche di incontro rispetto al mondo di oggi troppo dematerializzato con discussioni che si svolgono sui "social" e non nella palestra della vita in carne ed ossa. A questo si deve aggiungere la necessità di buone letture: chiunque voglia affrontare la politica deve passare attraverso le forche caudine di materie magari ostiche ma necessarie, ma ci sono anche un mare di pubblicazioni di vario genere che sono un autentico piacere. Vorrei segnalare un libro scritto tanti anni fa da un autore non molto conosciuto, Guido Calogero (1904-1986), filosofo, saggista e politico, che lo pubblicò nel lontano 1944, dopo la liberazione di Roma, sotto il titolo "L'ABC della Democrazia", sottotitolo "Con il primo manifesto del liberalsocialismo", che segnala temi che anni dopo saranno trattati da mio Séverin Caveri in "Christianisme et socialisme" nell'intento di cercare formule di dialogo fra diverse correnti di pensiero. E' Maurizio Viroli a parlarci dell'autore "filosofo del dialogo", punto di riferimento dei giovani del Partito d'Azione ed antifascista militante, pagandone il prezzo con la galera. Uomo tutto d'un pezzo, che capisce con questo suo libro non solo la necessità di esplicitare il suo pensiero, ma di offrire in modo comprensibile e rapido alcuni capisaldi della Democrazia a generazioni di giovani formati sotto il Regime e dunque vittime di un analfabetismo istituzionale e per questo Calogero offre loro perle di saggezza che attraversano il tempo. Ha chiarezza di visione sul ruolo degli intellettuali, quando disse in una conferenza: «Tutte le nostre conoscenze, tutto ciò per cui ci avviamo verso la vita in quanto uomini di cultura, tutte le conoscenze che costituiscono il nostro bagaglio e il nostro orgoglio di intellettuali, non varrebbero nulla se non riuscissimo a fare, con esse, qualcosa di bene agli altri uomini. Perché non c'è niente al mondo che valga al di fuori di questo: far bene agli altri». Lo annotino certi pseudointellettuali di casa nostra che pontificano sulla Politica mai praticata. Ma vale anche in senso autocritico quest'altra riflessione: «La vera democrazia non è il paese degli oratori, è il paese degli ascoltatori. Naturalmente, perché qualcuno ascolti, bisogna bene che qualcuno parli: ma certe volte si capisce anche senza che gli altri parlino, e non per nulla si sente fastidio per i chiacchieroni e reverenza per i taciturni attenti. La democrazia è dunque, in primo luogo, colloquio». E aggiunge giustamente: «Prima regola quindi: parlare solo se si ha veramente qualcosa da dire, cioè qualcosa che possa efficacemente contribuire al dibattito e non soltanto soddisfare l'ambizione dell'oratore desideroso di esservi intervenuto. Seconda regola: contenere il proprio intervento in quei limiti di tempo, per cui si possa presumere che anche gli altri partecipanti al dibattito abbiano la stessa possibilità d'intervento. Terza regola: cercar d'esprimere il proprio punto di vista non solo in forma chiara e concisa, ma anche con quella compiutezza che possa rendere meno necessario e prevedibile un secondo intervento nella discussione. Quarta regola: rinunciar senz'altro a parlare tutte le volte in cui il proprio punto di vista sia stato già adeguatamente espresso da un precedente oratore, o tutt'al più limitarsi a dichiarare il proprio consenso con esso». Detta poi alcune regole per i membri dell'Assemblea, degni di essere letti da qualche consigliere regionale della Valle d'Aosta. Tipo: «Ma se sono in contrasto due ordini del giorno, o due disegni di legge, può accadere che attraverso la discussione emerga la possibilità di giungere a una dichiarazione, o a una norma, che contemperi le opposte esigenze; e allora l'unanimità, o almeno una più vasta maggioranza, nasce tanto dalla volontà della maggioranza già delineatasi, di dare una più vasta base alla propria decisione, quanto dalla rinuncia della minoranza a serbare un atteggiamento di opposizione intransigente». O ancora: «Chi dice troppo spesso "Abbiate fiducia in me", rischia di arrivare alla fine a dire: "Non disturbate il pilota (già è troppo difficile il governo della nave perché io debba essere anche frastornato dai vostri contraddittori)". Ora, il "non parlate col manovratore" sta bene scritto sui tram: scritto in una sala di assemblea sarebbe la prefazione del fascismo. Anche qui, come si vede, la democrazia sta nel mezzo, tra quel difetto di fiducia, che conduce all'anarchia, e quell'eccesso di fiducia, che conduce al dispotismo. E come si determina questo giusto mezzo? Approssimativamente, cercando sempre di ben distinguere le questioni concrete, rispetto alle quali ci si presenta all'assemblea con sincero intento di riceverne lume e suggerimento, dalle altre questioni più generali, sulle quali non si può transigere perché investono un orientamento personale, già definito e nel quale, effettivamente, o l'assemblea ha fiducia o non ha fiducia». Ma la politica - ricorda Calogero - è anche concretezza: «La realtà è che l'uomo afferma se stesso non soltanto discutendo e decidendo e deliberando, ma anche lavorando, costruendo, mangiando, amando, fruendo insomma di tutte quelle possibili forme della vita che appaiono a lui meritevoli di esser vissute. E quindi per ciascuna di queste egli deve avere la sua libertà; esattamente come deve avere la libertà di contraddire e di dare il voto. Chi impedisce o rende più difficile ad un uomo di mangiare il suo pane o di sposare la donna che ama, pecca contro lo spirito non meno di colui che gli impedisce o gli rende difficile di esprimere le sue opinioni e di farle valere per le decisioni della comunità. Libertà politica ed uguaglianza sociale sono quindi ad un tempo fine e mezzo, in quanto ogni progresso dell'una favorisce il progresso dell'altra». Una serie di messaggi in bottiglia che, pur datati nella loro scrittura, specie in certi passaggi nella seconda parte del libro, sono utili da ricordare e per rifletterci sopra. Specie in questa Valle d'Aosta dove si cercano soluzioni sempre più arzigogolate da parte di quei consiglieri regionali che non si rassegnano alle elezioni anticipate, disegnando segnati catastrofici per giustificare la loro resistenza al ricorso alle urne.