Sarebbe interessante capire, alla fine, se esistano i numeri e quali potrebbero essere i voti a favore in Consiglio Valle per approvare la legge elettorale per l'elezione diretta del Presidente della Regione. Si tratta del famoso "Riccarandellum", dal nome di Elio Riccarand, leader sempreverde di "Rete Civica", la forza politica che ha posto questa opzione - piuttosto bizzarra per un partito della Sinistra più a sinistra - per reggere il Governo Fosson, quando mancò la maggioranza. E dall'opposizione meno prevedibile giunse - lo ricorderete - un'insperata stampella per farlo sopravvivere, ma nel "do ut des" spuntò una lista con argomenti da affrontare attraverso un rigido cronoprogramma, ormai addolcito dal ben noti "fare di necessità virtù".
Tema così capitale quello dell'elezione diretta, che cambierebbe di fatto la forma di governo, da essere persino oggetto di un ormai noto scambio di mail fra Riccarand stesso, che batteva il tempo alla presidente della Commissione incaricata di licenziare il testo, Patrizia Morelli. La sostanza del colloquio pare poi essere stata oscurata da una legittima discussione su chi, avuta copia del dialogo o peggio operato un hackeraggio, abbia reso nota la conversazione ad un giornale. Tema delicato di riservatezza che finisce però per essere controbilanciata, nel caso in esame, dal diritto-dovere del giornalista di pubblicare notizie avute, che rendano trasparenti certi passaggi politici, pensando al fatto che tutti chiedono che la Regione sia una "casa di vetro", ed a questo sarebbe giusto attenersi anche quando si è coinvolti. Poi, che questo sia ragionevolmente frutto di qualche imboscata di fuoco amico nella maggioranza, rende bene il clima non idilliaco che regge il Governo Fosson e che sia emerso dimostra in modo ancor più lapalissiano quale sia la fragilità di una formula di governo che si mantiene in piedi solo per evitare le elezioni, checché se ne dica. Dai voti in Consiglio sull'ipotizzata nuova legge discendono, infatti, le modalità successive di referendum confermativo, che appare assai probabile, a meno che a proporlo con una consultazione preventiva non sia la stessa maggioranza di governo per dare respiro con questo ulteriore pretesto alla legislatura con il motto "primum vivere". Esiste in merito una legislazione regionale che consente questa modalità anticipatrice, mentre per una legge votata ex post resterebbe pur sempre valido lo Statuto, così come scritto negli ultimi commi dell'articolo 15, quando facevo parte dei deputati che scrissero alla Camera quella norme sugli Organi della Regione, che novellarono il vecchio testo: "La legge regionale di cui al secondo comma è sottoposta a referendum regionale, la cui disciplina è prevista da apposita legge regionale, qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il Consiglio della Valle. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi (12). Se la legge è stata approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti il Consiglio della Valle, si fa luogo a referendum soltanto se, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, la richiesta è sottoscritta da un quindicesimo degli aventi diritto al voto per l'elezione del Consiglio della Valle". Nel primo caso sono sette consiglieri regionali o circa duemila elettori, se si hanno almeno 24 voti il referendum sono all'incirca poco più di 6.500 elettori a dover chiedere il referendum. Questo il quadro sintetico dal punto di vista giuridico, cui si aggiunge il tema politico, appena accennato. Ribadisco la mia posizione e cioè che l'elezione diretta del presidente nelle Regioni italiane, diffusasi dappertutto, ha di fatto svuotato il regime parlamentare e l'esaltata stabilità è valsa ad affermare la logica dell'"uomo-solo-al-comando", che non mi convince affatto in un momento di crisi in corso della nostra democrazia rappresentativa. Per stabilizzare, con legge elettorale, il sistema valdostano basterebbe un accorgimento semplice: costringere le famose "alleanze preventive", che danno un "premio di maggioranza" (abbassando il quorum folle del 42 per cento al 37 per cento, come proposto anche da MOUV'), ad essere rispettate anche dopo il voto da chi le stipula, pena lo scioglimento dell'Assemblea. Non capisco davvero, dopo anni di polemiche sullo strapotere del "rollandinismo" e sulla lotta alle preferenze personali con logiche da eccesso di potere, questa idea balzana di marcare la figura con il voto popolare diretto, spogliando ancor di più il Consiglio di un proprio ruolo nei confronti dell'Esecutivo, già troppo imperante. Anni fa, Ferdinando Camon, celebre scrittore che annota i suoi pensieri - fra gli altri - anche sui giornali del gruppo "L'Espresso" scrisse e certi rilevamenti d'opinione di questi giorni - ad esempio del "Censis" - lo confermano, visto che per la metà degli italiani, il 48 per cento per la precisione, ci vorrebbe "un uomo forte al potere": «La gente pensa (non a torto) che il groviglio di problemi che impastoia la nostra politica sia come il "nodo di Gordio": c'è un nodo da sciogliere, non si troverà mai il capo o la coda del nodo per scioglierlo, l'unica soluzione è tagliarlo con un colpo di spada. Ci vuole l'uomo forte, che abbia la spada e sappia usarla». Ma lo stesso scrittore padovano conclude in modo arguto e indica il problema: «Ma l'uomo forte non vince le guerre, le perde. Lo sappiamo per esperienza. A chi chiede un uomo forte, la risposta migliore è: "Un altro?". La voglia di un uomo forte è una delega ad altri di un potere nostro: non sapendo cosa fare, vorremmo passare la decisione ad altri. E' una democrazia insicura. Non di un uomo forte abbiamo bisogno, ma di un popolo maturo». Questo conta e bisogna gridarlo ai quattro venti anche in Valle d'Aosta per evitare scorciatoie che non sono la medicina.