Ho avuto la fortuna di avere vissuto due paternità diverse nel tempo: le prime due con Laurent (1995) e poi con Eugénie (1997) ed infine con Alexis (2010), le mie creature in cui rivedo tanto me stesso e persino certe espressioni di altri membri di famiglia. E' la genetica, ragazzi! Per altro l'unica vera e importante eredità che lasciamo nel mondo è questa nostra genia e per questo scavo con passione nel passato della mia famiglia, alla ricerca di radici che son sicuro che mi facciano capire qualcosa di più di me stesso. Questa differenza di età dei miei ragazzi mi ha permesso di godere delle loro infanzie su una distanza molto lunga e trovo che sia stato per me un autentico privilegio, perché avere a che fare con i bambini è un'esperienza bellissima.
Ho sempre pensato che i bambini devono essere trattati come persone. Ho usato talvolta la metafora - capisco ridicola - del "bonsai": sono come piante in miniatura, umani ancora in scala con le loro idee ed i loro pensieri, che certo devono maturare nel tempo nel corso della formazione della loro personalità, ma non bisogna mai trattarli come dei minus habentes. Anzi, hanno capacità sorprendenti di vedere le cose con occhi diversi e di questa loro energia dobbiamo abbeverarci noi adulti, spesso ormai come ingessati in abitudini e modi di pensare. Godiamo e impadroniamoci del loro stupore e delle loro curiosità. Ha ragione Paolo Coelho quando elenca: «Un bambino può insegnare sempre tre cose ad un adulto:
- A essere contento senza motivo.
- A essere sempre occupato con qualche cosa.
- A pretendere con ogni sua forza quello che desidera». E ancora di più Bruno Munari, che cito perché io ai bambini parlo sempre senza smancerie e stupidità: «C'è sempre qualche vecchia signora che affronta i bambini facendo delle smorfie da far paura e dicendo delle stupidaggini con un linguaggio informale pieno di "ciccì" e di "coccò" e di "piciupaciù". Di solito i bambini guardano con molta severità queste persone che sono invecchiate invano; non capiscono cosa vogliono e tornano ai loro giochi, giochi semplici e molto seri». In questo arco di tempo così esteso dei miei tre figli ci sono almeno due aspetti, che hanno formato delle convinzioni. La loro crescita resta qualcosa di straordinario. Li vedi trasformarsi in modo incredibilmente rapido ed averli visti crescere significa l'evidente contrappasso di avere coscienza del proprio invecchiamento. Te li ricordi usciti dal ventre materno (ho assistito ai parti, come normale per i padri della mia generazione) e loro, velocissimi, seguono le tappe della loro vita, mentre tu incanutisci. Il secondo aspetto è la comprensione di timori e paure dei tuoi genitori. Quante volte - specie nella stagione dell'adolescenza - non li capisci: sembrano dei rompiscatole con certe loro regole e certe aspettative. Quando passi dall'altra parte della barricata rimpiangi di non averli capiti a tempo debito. Trovo in particolare utile ed emozionante seguire quella fase molto umana che è il crescere e lo svilupparsi della socialità. I due momenti più belli sono le feste di compleanno dei bambini e quando iniziano a fare sport con nascenti ambizioni agonistiche. Mi piace fermarmi a guardarli, ad esempio in queste ore sulle piste di sci, quando Alexis ha ripreso l'agonistica. Li osservo da distante mentre chiacchierano, si preparano, si impegnano, sorridono. I pali in cui zigzagare sono, per quasi tutti, non uno scopo per una carriera nelle gare, ma si imparano delle regole. Oppure, nel pomeriggio, ho vissuto lo stesso senso di vigore e freschezza alla festa di compleanno del mio più piccolo dei nipote, Davide. Questa voglia di giocare, correre, azzuffarsi, sporcarsi e gridare: una straordinaria vitalità, che è condizione per capire la vita che hanno di fronte. Ma bisogna poi farlo con un addendo in più spiegato da Italo Calvino: «Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore». A questo ho deciso di attenermi.