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13 ott 2019

Questo pendolo fra unione e separazione

di Luciano Caveri

Unione e separazione sono due costanti della vita umana. Se uno dovesse citare due esempi eminenti per cominciare verrebbe da dire che il caso più eclatante sul piano internazionale è la "Brexit", sul piano valdostano è la scelta dei Comuni valdostani di cessare quelle collaborazioni previste dalla legge. Il descrittivo è noto: la "Brexit" è una rottura, che si è sviluppata faticosamente in questi anni fra il Regno Unito e il resto dell'Unione europea. Raramente si è registrato su una vicenda del genere un caso così terribile, che ha causato capovolgimenti politici, terrore per le ricadute economiche, problemi costituzionali serissimi anche alla vecchia Regina. In Valle i Comuni - per ora 74 - hanno provato nel tempo avvicinamenti, restando tabù forme di fusione vere e proprie, ma anche i più timidi "fidanzamenti" (tipo "esercizio associato di funzioni") stanno naufragando in un clima piuttosto bellicoso, di cui per altro non si vede ancora l'orizzonte alternativo.

La politica italiana e quella valdostana vedono unioni e separazioni interne ai partiti, con un va e vieni che sembra i passi di danza del cha cha cha e che portano a maggioranze che adombrano scenari surreali. Se un elettore fosse caduto in letargo il giorno delle elezioni regionali scorse e si svegliasse oggi forse tornerebbe stupefatto a dormire. Ogni tentativo di unione finisce per essere una specie di commedia dell'assurdo che lascia i cittadini con un palmo di naso e con la sgradevole sensazione che in troppi lo facciano più per tenersi la "cadrega" che per il celebrato «bene comune» (ormai diventato come il prezzemolo per insaporire anche piatti mediocri). Qualcosa non funziona se unione e separazione toccano famiglie e comunità: in Valle il tasso di separazioni e di divorzi resta elevatissimo (non faccio il moralista, essendoci passato) e basta guardare le cause civili o le denunce penali per banalità fra vicini e conoscenti per capire, anche da noi, come esista un notevolissimi tasso di litigiosità. Non passa giorno che un'associazione, una "Pro Loco", una congrega qualunque finisca "a schifio" per questo virus delle rotture. Le amicizie, che un tempo apparivano solide nel tempo, oggi finiscono spesso per banalità, tipo le ambiguità presenti in un semplice messaggino mal interpretato. E' difficile talvolta intendersi perché non esiste, in molti casi, la pazienza di ascoltare e lo stesso scambio di opinioni - l'ho verificato in molti casi - è la semplice presentazione del proprio punto di vista, ritenendo un punto finale intermedio su cui convenire una disonorevole sconfitta. Pensiamo al tema dei migranti: quando mi capita di parlarne noto solo inconciliabili opposti estremismi, mancando alla fine la sintesi che fa avanzare tutte le cose. Qualcuno mi dirà: guarda che è sempre stato così dal tempo delle caverne, quando forse non sapevamo neanche neppure esprimerci e si finiva a colpi di clava. Qualcun altro potrebbe aggiungere: meglio così, con ruvida franchezza, piuttosto che vivere, come spesso a chiunque è capitato, in situazioni di felpata ipocrisia, fonte poi di dispiacere. Ragionamenti comprensibili, ma che non attenuano la preoccupazione per questa umanità che già in casa, nei cortili comuni, nelle sedi varie di discussione sino al "Palazzo di vetro" delle Nazioni Unite sembra preferire di più ciò che divide a ciò che unisce. E non c'è messaggio evangelico (o di qualunque altra religione) o credo politico come fonte di attrazione che finisce davvero per far fare macchina indietro a questo processo di incomprensione e molto spesso di odio. Lo annoto qui, senza soluzione alcuna, né consolatoria e zuccherosa né pessimista e agra. Così va il mondo nella nostra quotidianità sino ai vertici più alti dei decisori che si occupano di grandi cose rispetto alle piccolezze che sono però nel medesimo brodo di coltura dal sapore sgradevole. Se fossi il fondatore di una setta, ma ce ne sono già tante (devo dirlo che scherzo?), così come ci sono religioni buone e attive e filosofie convincenti, partirei sempre - e so che scriverlo con maiuscola può apparire come un pensierino da "Baci Perugina" - dall'Amore, «questo folle sentimento che», come diceva una vecchia canzone che permetteva poi di aggiungere alla strofa qualunque nostro pensiero sul tema. Capisco che Amore è roboante e mi limiterei, forse, a un maggior rispetto reciproco ed alla forza del dialogo, che è esercizio antico di cui pare che nella contemporaneità ci si dimentichi, specie in politica, usando i cittadini come se fossero degli hooligans da rendere sempre più barbari ed incattiviti in uno stadio che nulla ha dell'agorà della Grecia antica. Ma sono i miei solo pensieri in libertà, e non una predicazione, e dunque posso serenamente fermarmi qui, usando - con serietà allietata da un sorriso - un'immagine dello scrittore canadese Yann Martel: «L'albero si era accorto della strada, che era consapevole del cielo, che a sua volta sapeva del mare, che divideva ogni cosa con il sole. Ciascun elemento era in armonia con gli altri, tutti erano amici e parenti».