La cronaca nera è un flusso continuo di cattive notizie, in un impasto di brutture e di destino che crea spesso un senso di angoscia nelle nostre vite, talvolta sfiorandoci così da vicino da darci un senso di vertigine rispetto ai rischi che noi stessi ed i nostri cari abbiamo attraversato, in molti casi inconsapevolmente per una sterzata del Caso. In tutti questi anni ho visto morire in montagna troppe persone, compresi tanti amici e conoscenti: la loro è una parte dolorosa della memoria. E' stato un stillicidio nelle diverse modalità possibili, che sono purtroppo troppe e che testimoniano un'evidente banalità: l'ambiente alpino, in particolare alle alte quote dove si svolge l'alpinismo, è pieno di rischi e chiunque lo pratichi - anche il più esperto e coscienzioso - può trovarsi in pericolo di vita.
Leggevo la storia straziante della Guida alpina del Cervino, Federico Daricou di Châtillon, descritto come sempre sorridente, morto dopo molte ore da quella scarica di sassi che aveva ucciso il suo cliente ed aveva colpito altri alpinisti. Federico era esperto non solo d'alpinismo ma anche di soccorso in montagna, ha avuto la sfortuna di un elicottero svizzero che non è riuscito a raggiungere in tempo il luogo dell'incidente per prestargli le cure in tempo e per questo non ce l'ha fatta, e non si può non pensare con strazio a quelle ore di disperata attesa, mentre la vita scivolava via. Come non pensare alla moglie gressonara ed ai suoi piccoli rimasti senza papà colpiti da questo dramma. Eppure questo è il mestiere della Guida alpina: esiste un elemento crescente di sfida con la natura, che è diventato sempre più difficile perché ai rischi connaturati al mestiere sono da aggiungere ulteriori incertezze per una montagna che si scalda per gli aumenti di temperatura con trappole vere e proprie che possono manifestarsi - come in questo caso sul Grand Combin, la montagna che si vede benissimo da Aosta addirittura come sfondo al maestoso Teatro Romano - con una scarica improvvisa di sassi contro la quale non c'è null'altro che la fortuna. Ma non può esistere per chi ha scelto di essere Guida e per i loro clienti, spinti dalla passione per la montagna, una logica di proibizione dell'accesso alle alte quote. Certo, contro gli incidenti in montagna bisogna puntare su prevenzione attraverso informazioni sui rischi, restando chiaro come esista sempre un elemento di imponderabilità che non può essere abolito. Chi pensa di sbarrare l'accesso alle montagne - fatte salve situazioni estreme di pericolosità - deve fare i conti con un elemento: la libertà del singolo di mettere a repentaglio la propria vita nella sfida personale con la montagna. Qualche obiezione può sempre esistere rispetto a chi sceglie itinerari per cui non ha competenze e conoscenze, usa un'attrezzatura inadatta all'ambiente alpino, sottostima elementi oggettivi come le previsioni del tempo e soprattutto non è accettabile chi si ponga in situazioni limite in cui i soccorritori vengano messi, per il fatto stesso di intervenire, in una situazione di pericolo per salvare vite altrui. Ma - lo ripeto - il "rischio zero" non esiste nella nostra vita quotidiana nella banalità della sua routine, figurarsi in un ambiente montano che può essere ostile in barba alla sua straordinaria bellezza. Lo si è visto nella caduta sull'Aiguille de Marbrées di un'altra Guida valdostana, Gianfranco Sappa, della Società Guide del Monte Bianco - anche lui esperto del Soccorso alpino - che è in ospedale che lotta per vivere e prima o poi saprà che la sua compagna, Giuditta Parisi, non ce l'ha fatta. Anche in questo caso una vicenda umana dolorosissima. Questa appartiene appunto a quell'insieme di storie che suonano come un ammonimento e risultano toccanti, pensando a coloro che hanno perso in montagna una persona amata. Di certo Federico si troverà in qualche punto del cielo sopra le Alpi assieme a Gérard Ottavio, già suo presidente delle Guide del Cervino, che lo ha preceduto lassù ormai tre anni fa.