Matteo Renzi avrebbe dovuto lasciare la politica dopo la batosta del referendum costituzionale, che fu un referendum contro di lui ed il suo confuso disegno di potere. E invece è rimasto sulla scena, piazzando nella nuova Legislatura una buona pattuglia di parlamentari per aspettare un'occasione per riciclarsi, non rassegnandosi agli eventi. Ora trama per un Governo anti-Salvini per tornare in pista addirittura con un proprio partito, alleandosi con Grillo e company, quelli che di lui hanno detto il peggio del peggio. Ma Renzi, pur di tornare sulla scena, è pronto a tutto con una logica da lettino di psicanalista. Sullo scenario è chiaro, su "La Stampa", Marcello Sorgi: «Per prima cosa, è giusto chiamare le cose con il proprio nome: un ribaltone è un ribaltone, non c'è niente di illegale o incostituzionale nel farlo, basta solo non dipingerlo per quel che non è: un governo di salute pubblica, d'emergenza, di salvaguardia dell'euro e così via, siamo solo ai primi giorni del tentativo di evitare le elezioni, chieste da Salvini dopo aver annunciato la fine del governo Conte, e già le fantasie più sbrigliate si esercitano».
Lo stesso Sorgi più avanti delinea lo scenario dal suo punto di vista: «Fino a qualche giorno fa (ma venerdì sul suo blog se ne è guardato bene) Grillo definiva "ebetino" Renzi, il suo più probabile futuro alleato. E Di Maio, il capo politico pentastellato, non ha esitato a prestarsi alla campagna, nata dall'inchiesta giudiziaria su un torbido sistema di adozioni, che ha portato i "Cinque stelle" a definire il PD "il partito di Bibbiano", perché nella stessa località aveva il sindaco. Renzi, autore dell'hashtag #senzadime, rimesso in rete tutte le volte che s'è parlato di alleanza tra PD e grillini, li ha sempre ricambiati da par suo, definendoli "cialtroni", "amici dei no-vax" (cosa peraltro vera), "quelli che non credono allo sbarco sulla luna ma alle sirene", e annotando su Di Maio "che quando gli parli, per capire ha bisogno dei disegnini" e che "non ha mai letto un libro senza le figure". Ma per carità, ogni ripensamento è possibile. La politica è fatta di questo e sovente anche dei cosiddetti "stati di necessità", come appunto l'emergenza che da qualche giorno Renzi (ma non Zingaretti), Grillo, Di Maio e lo stato maggiore "Cinque stelle" sono intenti a delineare, insieme al timore che un'Italia in cui molto probabilmente Salvini uscirebbe vincitore dalle prossime elezioni sarebbe destinata a uscire dall'euro, dall'Europa e dal suo tradizionale sistema di alleanze con la "Nato", per allinearsi alla Russia di Putin. Di qui l'appello al Capo dello Stato a provvedere al più presto, grazie alla sua incontestabile autorità, a dar vita a un "governo del Presidente", non semplicemente "elettorale", come gli ultimi, guidati da Fanfani nel secolo scorso, incaricati di regolare e arbitrare la vigilia delle urne, ma dotato di pieni poteri e destinato a restare in carica il più a lungo possibile, almeno fino all'esaurimento della spinta propulsiva di Salvini e del salvinismo». Su "Huffpost" esemplare Lucia Annunziata, che analizza - magari con passaggi che non condivido in toto, ma restano suggestivi - la nuova coppia Renzi-Grillo con la lama del rasoio: «Uno voleva rottamare la politica, l'altro voleva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, entrambi ora chiedono un "governo di scopo", con chiunque ci stia, pronti anzi a stringere la mano ai peggiori nemici, per salvare l'Italia naturalmente, come due Scilipoti qualunque. A Scilipoti - questo "metro e qualcosa di uomo", come si diceva nelle discussioni etiche "alte" indicando la sua brevità come evidente indicazione di un destino di inadeguatezza - a questo Senatore - indagato per corruzione (da cui è stato poi assolto), esempio brandito da un impetuoso movimento antipolitico come simbolo della fine di ogni principio nella politica italiana - dobbiamo evidentemente oggi delle scuse. Scilipoti aveva capito cose che noi umani non siamo riusciti a vedere - che la differenza fra un robot e un uomo è nel fatto che la carne avverte, sente, soffre; e che il sacrificio in nome del proprio paese è il più alto gesto con cui la razza umana rivendica la propria superiorità. E qui torniamo ai suoi eredi. Di Matteo Renzi forse non dovremmo essere del tutto sorpresi - il senatore fiorentino ha più volte dimostrato di essere un abile tattico, e già in una ormai famosa occasione, dopo aver promesso all'Italia della sinistra elezioni subito dopo le primarie, cambiò idea andando direttamente a Palazzo Chigi dove c'era il "tranquillo" Enrico Letta; una manovrina di Palazzo ben oleata, fatta ovviamente per non far entrare il paese nel caos in una "congiuntura cosi' delicata". La congiuntura nemmeno a dirlo era un incombente fronte antipolitico, e, ovviamente, la finanziaria. Non vennero nominate, ma era anche in ballo un giro di nomine di Stato, quelle stesse che vengono a scadenza oggi, e il cui impatto sul futuro di qualsiasi leader o corrente o partito è sempre sostanziale. Dunque forse del senatore Renzi non dovremmo sorprenderci. Ma Grillo? Che dire di Grillo? Sentirlo assumere il ruolo di responsabile nei confronti di un sistema politico disprezzato, di formule considerate morte, di alleanze con uomini e partiti, il PD in particolare, considerati fino a 24 ore fa il vertice di ogni corruzione, è più che una sorpresa, è una esperienza sensoriale. Fra le tante stupide domande che mi vengono in mente la più grande è sicuramente: ma adesso, Grillo, nel talk show del nuovo governo di scopo, riammetterete anche il buon Bersani che venne invitato a uscirne nel primissimo contatto fra PD e i tuoi, durante la prima consultazione in streaming? Sono purtroppo stupide curiosità del genere, quelle che vengono in questo momento. Perché è impossibile prendere il tutto sul serio. O dovremmo davvero credere che è l'orgoglio della politica che parla in queste proposte e non l'evidente opportunismo della politica? Dobbiamo davvero pensare che Grillo non sta difendendo la voglia di restare al governo, con un 33 per cento di eletti che non avrà mai più? Vogliamo davvero credere che sia un sacrificio per Matteo Renzi abbracciare i propri nemici per eccellenza, quegli stessi "Cinque Stelle" su cui aveva tracciato finora la linea discriminante per una sua scissione? Ma, insomma, su Grillo e Renzi queste obiezioni sono tutte fin troppo facili. Parlarne val la pena, in fondo, per una sola, seria, ragione: la conversione in pecorelle istituzionali di questi due Molok dello scontro identitario, fornisce la prova di quanto forte, cocciuto e radicato, di quanto permanente organizzato, sia, in Italia, il partito del non-voto. Dell'impatto avuto da questo partito sulla recente storia nazionale (qualche esperto ne ha rintracciato la vita in tutto il declinare della storia della nostra Repubblica) si è parlato tanto, ma senza mai andare oltre il cumulo di domande che ha lasciato sul tavolo. Era necessario un governo Monti, o il paese sarebbe stato più stabile se la sconfitta di Berlusconi fosse uscita dalle urne? La sinistra avrebbe avuto più forza se Bersani non fosse stato eliminato con una figura di mediazione come Letta? E il rinnovamento delle istituzioni sarebbe avvenuto nel segno della politica e delle forze democratiche se Renzi fosse passato per le urne? Potremmo persino chiederci, tanto per arrivare al presente, che senso ha avuto nel "salvare l'Italia" fare un governo così incoerente come quello appena franato fra M5S e Lega? Di tutte queste domande rimane solo una certezza: i grandi sforzi fatti dal partito del non voto, mirati a fermare la deriva populista, l'antieuropeismo, il giacobinismo antiistituzionale, non solo non hanno avuto successo. Al contrario hanno legittimato il sentimento antiistituzionale, alimentando la narrativa di istituzioni chiuse su se stesse e i propri interessi. Esattamente quello su cui punta ora Salvini per la sua scalata finale al cielo del governo dell'uomo solo al Comando. Ha bisogno di dire che tutti, assolutamente tutti, inclusi i suoi vecchi alleati, sono compromessi con il sistema e le poltrone. Una narrazione che ha avuto tempo di diventare una canzone sulle spiagge d'Italia». Questo il succo del discorso, anche se poi - lo trovate su Huffpost - l'Annunziata spara altre bordate contro questo governicchio in gestazione, ammantato da nobili ragioni e invece io penso sia una sorta di harakiri.