L'omicidio di Giulio Regeni - ragazzo triestino, classe 1988 - è avvenuto in Egitto tra gennaio e febbraio 2016 e da lì è sortito un caso internazionale, che non ha avuto soluzione, malgrado mille promesse. Giulio era un dottorando italiano dell'Università di Cambridge, che stava studiando i problemi sindacali del Paese che lo ospitava, anche alla luce di vasti movimenti di piazza di quei mesi. Rapito il 25 gennaio 2016, venne poi ritrovato senza vita il 3 febbraio successivo nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani. Scrivono ora i genitori al Rais egiziano: «Buongiorno presidente Al Sisi, siamo i genitori di Giulio Regeni, il ricercatore italiano sequestrato, torturato e ucciso al Cairo. A marzo di tre anni fa sulle pagine di questo giornale Lei si rivolgeva a noi "come padre prima che come presidente" e prometteva "che faremo luce e arriveremo alla verità, lavoreremo con le autorità italiane per dare giustizia e punire i criminali che hanno ucciso vostro figlio"».
«Sono passati tre anni - continuano i genitori di Regeni - Nessuna vera collaborazione c'è stata da parte delle autorità giudiziarie egiziane e dopo l'iscrizione nel registro degli indagati, da parte della procura italiana, di cinque funzionari dei Vostri apparati di sicurezza, la procura egiziana ha interrotto tutte le interlocuzioni. Oggi sappiano che Giulio è stato sequestrato da funzionari dei Vostri apparati di sicurezza e lo sappiamo grazie al lavoro incessante degli investigatori e dei procuratori italiani e dei nostri legali. Lei è venuto meno alla sua promessa. Lei, lo apprendiamo dai media, ha un potere smisurato. Risulta, quindi, difficile da credere che chi ha sequestrato, torturato, ucciso nostro figlio Giulio, chi ha mentito, gettato fango sulla sua persona, posto in essere innumerevoli depistaggi, organizzato l'uccisione di cinque innocenti ai quali è stata attribuita la responsabilità dell'omicidio di nostro figlio, tutte queste persone abbiano agito a Sua insaputa o contro la sua volontà. Non possiamo più accontentarci delle sue condoglianze né delle sue promesse mancate. Generale, Lei sa bene che la forza di un uomo e ancor più di un capo di Stato non può basarsi sulla paura ma sul rispetto. E non si può pretendere rispetto se si viene meno ad una promessa fatta a dei genitori ed a un intero Paese orfano di uno dei suoi figli. Giulio, lo sa bene anche lei, era un portatore di Pace, Giulio amava il popolo egiziano: ha imparato la Vostra lingua e ha fatto diversi soggiorni al Cairo cercando di vivere come un egiziano. Invece, è morto come, purtroppo, muoiono tanti egiziani. Presidente, Lei dice di comprendere il nostro dolore, ma lo strazio che ci attraversa da 39 mesi non è immaginabile. Lei, però, può intuire la nostra risolutezza e la nostra determinazione che condividiamo con migliaia di cittadini in tutto il mondo. Siamo una moltitudine severa e inarrestabile. Finché questa barbarie resterà impunita, finché i colpevoli, tutti i colpevoli, qualsiasi sia il loro ruolo, grado o funzione, non saranno assicurati alla giustizia italiana, nessun cittadino al mondo potrà più recarsi nel Vostro Paese sentendosi sicuro. E dove non c'è sicurezza non può esserci né amicizia né pace. Presidente, Lei ha l'occasione per dimostrare al mondo che è un uomo di parola: consegni i cinque indagati alla giustizia italiana, permetta ai nostri procuratori di interrogarli, dimostri al mondo che la osserva che Lei non ha nulla da nascondere. Lei ha il privilegio e l'occasione di fare giustizia, sprecarli sarebbe imperdonabile. Con l'augurio di verità e giustizia». Il rischio vero è che questa storia finisca per cadere nel dimenticatoio o nella tomba dei segreti di Stato, già difficili da risolvere in Paesi come l'Italia, figurarsi laddove non esiste alcuna democrazia reale come l'Egitto. Un pensiero a margine: Roberto Vecchioni ha scritto una bellissima canzone su Giulio, piena di poesia e di partecipazione, in cui immagina una mamma che piange il proprio figlio. Un'immagine universale e non solo riferita al caso specifico, come precisato dallo stesso cantautore. Invece la mamma di Regeni ha reagito con una forte violenza verbale, insultando Vecchioni e dicendo di non volerne sapere della sua canzone «e che a sessant'anni si mettesse in pensione». E' facile capire che cosa ha passato, ma forse è meglio che se la prenda con altri e non con chi, attraverso la sua arte, intendeva solo evocare e condividere il dolore e tenere viva una vicenda che rischia di finire con il tempo nel dimenticatoio.