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06 apr 2019

Brexit: a Londra è in crisi la democrazia

di Luciano Caveri

Il Regno Unito è un caso esemplare di un'antica democrazia che si inceppa d'improvviso per un pasticcio creato in proprio. Mi riferisco alla questione della "Brexit", cioè l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea, decisa il 23 giugno del 2016 con il favore del 51,89 per cento dei votanti. Da allora, finita nella palude della negoziazione con l'Unione europea guidata con maestria dal savoiardo Michel Barnier (che potrebbe diventare Presidente della Commissione europea e ricordo che venne insignito come "Ami de la Vallée d'Aoste"), ormai si sono susseguiti colpi di scena e ritardi, che hanno portato ormai - fonte "Ansa" - a quattro scenari possibili, anche se il primo appare il più probabile e terribilmente traumatico.

"No deal": al momento fra le opzioni più probabili c'è quella dell'uscita del Regno Unito dall'UE senza accordo. La data chiave è il 12 aprile, tagliola fissata da Bruxelles in mancanza di ratifica dell'accordo siglato da Theresa May. Entro il 12 aprile il governo britannico dovrà comunicare all'UE se intende procedere ad un traumatico "no deal" o chiedere una proroga lunga (si parla di un anno o due), che andrà tuttavia motivata. "Soft Brexit": una delle alternative allo strappo potrebbe essere uno scenario da "Mercato Unico 2.0", con Londra fuori dall'UE ma il cui rapporto con Bruxelles rimandi ad una soluzione simile a quella della Norvegia, che mantiene con l'Europa rapporti privilegiati, soprattutto di natura economica. Una delle ipotesi percorribili (caldeggiata ad esempio dal Labour di Jeremy Corbyn) è la permanenza del Regno nell'unione doganale, che risolverebbe alla radice il problema del backstop tra Irlanda ed Irlanda del Nord. "Secondo referendum": se ne parla ancora di consultare il popolo per la seconda volta. E c'è chi ci spera davvero, soprattutto in quella fetta di opinione pubblica che dal voto del 2016 ha in crescendo fatto sentire la sua voce contraria alla "Brexit". Ma al momento i voti in Parlamento per un secondo referendum non ci sono. "Elezioni politiche anticipate": Theresa May potrebbe dimettersi e convocare elezioni anticipate. Lo chiedono in moltissimi ormai ed il leader dell'opposizione, il laburista Corbyn, ha messo pubblicamente il suo sigillo all'appello intervenendo oggi ai Comuni dopo il voto. Teoricamente una possibilità potrebbe essere indire le elezioni assieme a quelle per il rinnovo del Parlamento europeo a maggio. Ma, oltre ad essere politicamente inopportuno, i tempi sarebbero stretti. "Revoca dell'articolo 50": il Parlamento lo ha attivato e, anche qui in teoria, potrebbe anche revocarlo. Alla luce di ostacoli insormontabili, Westminster potrebbe cioè decidere di ritirare l'attivazione dell'articolo dei Trattati che ha fatto scattare la procedura di divorzio di Londra dall'UE (il referendum popolare del 2016 era infatti consultivo e non vincolante). Uno scenario "No Brexit" abbastanza estremo però, una probabilità che resta remotissima, al momento più nella sfera della fantapolitica che della realtà, soprattutto senza una nuova consultazione popolare.

Comunque sia, resta una realtà complicata in un Paese che non ha una Costituzione, ma regole che fanno parte di secolari tradizioni giuridiche. La figura centrale del Primo Ministro - in genere leader del partito di maggioranza - è stata scossa in questi ultimi anni da una mancanza di leadership, diventata debolissima proprio con i balbettamenti politici della May. La stessa Camera dei Comuni ha dimostrato la crisi del parlamentarismo con votazioni a raffica senza trovare una risposta che risultasse efficace e decisiva. Insomma l'equilibrio di poteri scricchiola e ancora ieri buona parte di queste opzioni sono state bocciate dai deputati, ma il Governo potrebbe assumersi le sue responsabilità egualmente. Tuttavia non appare più in grado di reagire e si avvicina lo strappo traumatico. Emerge poi con nettezza la necessità di riflettere sullo strumento referendario di democrazia diretta nel momento in cui il Parlamento italiano sta, nell'incrocio fra Camera e Senato, pasticciando su alcune modifiche costituzionali a spizzichi e bocconi senza un disegno organico, tipo l'iniziativa per rinforzare la legislazione di iniziativa popolare, toccare il numero di parlamentari e soprattutto in materia proprio di referendum. Il caso del Regno Unito dimostra, se mai ce ne fosse stato bisogno, quanto sia delicato lasciare in mano popolare decisioni come la "Brexit" e lo dimostra il fatto che oggi sono in troppi ad ammettere come lo scenario su cui si è votato non era ben illustrato nelle sue conseguenze, così come emergono oggi in una selva di difficoltà e preoccupazioni.