Capita in viaggio di subire lo sfasamento da fuso orario. Così Oltreoceano riconosci la mattina presto le vittime, come te, del "jet lag", perché si aggirano già ad ore antelucane per via del risveglio anzitempo dovuto alle proprie abitudini orarie, incrostate nel cervello. Ma la cosa peggiore, sin quando non ti abitui, sono certe veglie notturne quando a casa tua è già giorno pieno. In quel dormiveglia confuso capita di essere steso nel letto per non disturbare chi ti dorme a fianco, resistendo alla tentazione un tempo assente di afferrare il telefonino e computarlo, ma ti trattiene la luminosità che infastidisce. Allora si resta inanimati ad ascoltare. Se si in albergo, come quasi sempre, sono rumori consueti: ascensori, suoni provenienti da camere vicine come l'acqua che scorre, scalpiccii lungo i corridoi. Ma poi ci sono quelli esterni: i rumori del traffico in crescendo più si avvicina l'alba, lo sferragliare dei tram o dei treni se ci sono nelle vicinanze, ma quel che colpisce di più ed è proporzionale alla grandezza della città dove ci si trova sono le sirene dei mezzi di emergenza, i cui toni cambiano a seconda del Paese ci si trova.
L'altro giorno in un flash notturno mi sono interrogato - mi scuso per l'evidente inutilità del soggetto - su questa parola "sirena". Per chiunque di primo acchito il termine fa venire in mente quegli esseri favolosi della mitologia classica, rappresentate in forma di giovane donna nella parte superiore del corpo, talvolta con ali, e nella parte inferiore in forma di uccello o, in epoca successiva, di pesce, che emergeva dalle acque del mare e, con il canto dolcissimo, incantava i naviganti facendoli naufragare e morire. Incidentalmente osservo - trovate sul Web ampia documentazione e pure dei video di presunti avvistamenti - che ci sono persone che credono esistano davvero e cercano di dimostrarlo in ogni modo, tipo chi crede che gli alieni siano già fra di noi. Ma come si è passati dalle sirene classiche, quelle per esempio del dodicesimo libro dell'"Odissea" quando tentano di affascinare con il loro canto Ulisse, ai più prosaici mezzi acustici? Siamo nel 1819 - quindi si stanno per festeggiare i due secoli, tempi brevissimi nella storia dell'umanità - quando Charles Cagniard de Latour, accademico francese, ideò un congegno in grado di emettere un suono a una frequenza determinata. Scelse in modo immaginifico di chiamare la sua invenzione "sirène", proprio perché i suoni con determinate frequenze - come il canto fascinoso del le sirene - attraggono ineluttabilmente l'attenzione all'orecchio umano. Un caso singolare di sdoganamento di una parola per un suo riutilizzo. Anche se ad essere pignoli il canto delle sirene attira e respinge solo chi è consapevole dell'esito letale del loro tentativo di seduzione, mentre la sirena d'emergenza o il fischio di un treno servono per allertare del passaggio di un mezzo di pronto intervento o di un convoglio, allontanando le persone e non attirandole. Ma a complicare le cose ricordo da studente ad Aosta la sirena del cambio turno della "Cogne", che era usata in una logica double face: allontanava gli uscenti e avvisava i subentranti. Confesso di avere consapevolezza che si tratta di questione di lana caprina da veglia notturna...