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10 gen 2019

I simboli sotto inchiesta della casa rossa

di Luciano Caveri

Vedremo come finirà la vicenda di cronaca, che mi aveva colpito molto l'estate scorsa ben prima che scoppiasse con i fatti di rilevanza penale di questi giorni. Mi riferisco a quella casa di Saint-Vincent che, secondo le attuali risultanze della Magistratura aostana che dovranno essere validate da un eventuale giudizio, esibiva simboli nazisti e persino antisemiti. Ero andato a vederli di persona, mesi fa, questi famosi cancelli con l'aquila del Terzo Reich (a me pareva così ed ora non solo a me) e con il simbolo triangolare che sembrava somigliare sinistramente a quello apposto su quei vestiti a strisce bianconere degli ebrei nei campi di sterminio. Mi aveva colpito anche il singolare color rosso della casa simile alla bandiera del Terzo Reich.

Esiste in Europa e persino nel mondo un rigurgito delll'ultradestra nostalgica e pure "negazionista" di fenomeni come l'Olocausto che va tenuta a bada e non ci devono essere zone grigie nel giudizio. Capita di discutere su queste questioni con chi - a giustificazione - agita quei principi democratici di tolleranza verso anche chi sbanda nel nome della libertà di pensiero. Fatemi dire che sarà pur vero che ognuno può avere i propri giudizi e coltivare le proprie passioni, ma invocare la libertà di opinione - lo scrivo in termini generali e ciò vale per ogni totalitarismo - non vale, quando si seguono certe ideologie totalitarie, assassine e spregevoli. Purtroppo certi commenti su "Facebook" sulla vicenda in oggetto sono dal tono a priori difensivi e - se mai che ce ne fosse stato bisogno - confermano che il senso della Storia sta letteralmente svanendo ed un sacco di persone si sono messe a discettare sulla perdita di tempo degli inquirenti nell'occuparsi una cosa così. Ci sta bene: questo è quella parte di "popolo bue" che ci meritiamo e che non ha cultura e vive di scemenze. Senza consapevolezza si sguazza nei "sentito dire" e negli slogan vuoti ma pericolosi, in cui prospera quel brodo di coltura che porta a violenza e affini. Scriveva anni fa Umberto Eco sul fascismo nuova versione in un suo celebre saggio: «Per l'Ur-Fascismo gli individui in quanto individui non hanno diritti, e il "popolo" è concepito come una qualità, un'entità monolitica che esprime la "volontà comune". Dal momento che nessuna quantità di esseri umani può possedere una volontà comune, il leader pretende di essere il loro interprete. Avendo perduto il loro potere di delega, i cittadini non agiscono, sono solo chiamati pars pro toto, a giocare il ruolo del popolo. Il popolo è così solo una finzione teatrale. Per avere un buon esempio di populismo qualitativo, non abbiamo più bisogno di Piazza Venezia o dello stadio di Norimberga. Nel nostro futuro si profila un populismo qualitativo TV-Internet, in cui la risposta emotiva di un gruppo selezionato di cittadini può venire presentata e accettata come la "voce del popolo"». Profezia piena di risultanze nelle situazioni di questo nostro mondo strambo, in cui gli estremismi politici e religiosi proliferano senza pietà con codazzo di "fake news", complottismi, dietrologia e tutto il resto di bagaglio che indebolisce ogni forma di civile convivenza. Aggiunge Eco: «A ragione del suo populismo qualitativo, l'Ur-Fascismo deve opporsi ai "putridi" governi parlamentari. Una delle prime frasi pronunciate da Mussolini nel parlamento italiano fu: "Avrei potuto trasformare quest'aula sorda e grigia in un bivacco per i miei manipoli". Di fatto, trovò immediatamente un alloggio migliore per i suoi manipoli, ma poco dopo liquidò il parlamento. Ogni qual volta un politico getta dubbi sulla legittimità del parlamento perché non rappresenta più la "voce del popolo", possiamo sentire l'odore di Ur-Fascismo». Altri passaggi del famoso semiologo sono fasci di luce nel buio di certe situazioni: penso a dove descrive la logica contro il diverso che alimenta odio come carburante per far presa sul popolino bruto; dove ribadisce come il primo campanello sia la lotta agli intellettuali vituperati per la loro inutilità in favore di una salutare rozzezza; dove ricorda come gli ebrei restino vittima del più stupido antisemitismo e siano di fatto la cartina di tornasole di certe ricorrenze storiche, pur sotto nuove vesti. I totalitarismi sono camaleonti. Un mondo difficile, insomma, in cui bisogna tenere sotto mano gli esempi del passato ed essere maledettamente vigili di non abituarsi ad alzare le spalle, a guardare altrove, a stare nella propria bolla rassicurante. Primo Levi - uno dei testimoni più importanti della "Shoah" - fu arrestato nel 1943 a pochi chilometri dalla casa con cancelli "istoriati". Era salito in Valle d'Aosta per diventare partigiano e poi fu condotto nel campo di sterminio ad Auschwitz, di cui raccontò con dolore e crudezza storie e misfatti. Era lui, più di tutti, ad insistere sul rischio dell'oblio e sulla necessità della memoria, ormai troppo spesso sfregiata, nella poesia "Per non dimenticare".

«Voi che vivete sicuri Nelle vostre tiepide case, Voi che trovate tornando a sera Il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo Che lavora nel fango Che non conosce pace Che lotta per un pezzo di pane Che muore per un si o per un no. Considerate se questa è una donna, Senza capelli e senza nome Senza più forza di ricordare Vuoti gli occhi e freddo il grembo Come una rana d'inverno. Meditate che questo è stato: Vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore Stando in casa andando per via, Coricandovi alzandovi; Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, La malattia vi impedisca, I vostri nati torcano il viso da voi».