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08 gen 2019

Quei giovani valdostani che se ne vanno

di Luciano Caveri

I pensieri sono bislacchi come farfalle che svolazzano ed ogni tanto, con un retino si possono catturare e metterli su carta. Scrivere - lo so - è rischioso perché ci si espone, ma il segno che si lascia magari può essere un seme utile per quando diventerà, se lo sarà, utile da far fruttare. Capita, nelle chiacchiere fra amici vicini (attuali) o lontani (del passato), di avere conferma di un fenomeno di cui si è dato conto in diversi modi e che va affrontato con serenità ma, nel limite del possibile, cercando piste interessanti. Ricordo in Radio su "RaiVd'A" una serie di interviste a cura di Nathalie Dorigato - in collegamento con gli interessati - con giovani valdostani che vivono in diversi luoghi del mondo. Sul tema c'è anche stato un interessante libro, più recente, di Michela Ceccarelli: dopo aver esplorato l'émigration valdôtaine storica questa volta si è cimentata con i giovani che vanno via all'estero per studio e si fermano lì o vanno direttamente in Paesi stranieri per cercare lavoro.

Ora, una nuova serie di "RaiVd'A" - questa volta televisiva - darà conto di casi analoghi con volti e voci dei protagonisti e dei loro familiari e immagini girate in Valle e laddove si sono trasferiti. Vorrei segnalare a questo proposito una mia riflessione. Esiste un tasso normale di ragazzi valdostani che se ne vanno per non tornare più se non per "mordi e fuggi": è sempre stato così anche con certi miei coetanei, che hanno inseguito i loro sogni. Forse avessi fatto il giornalista come unico mestiere, senza fare «quello fuori in politica» per tanti anni a Roma e Bruxelles, anche io sarei finito chissà dove inseguendo i miei sogni. Ma la vita, come tutto il resto, non si scrive con i "se" e con i "ma", ma con quel che realmente è accaduto. Ma altri, molti, hanno nel tempo fatte esperienza fuori per poi rientrare ad essere utili altrove (come spero di essere stato io). Ora questo "vai e torni" sembra - e questa è la novità - come inceppato per il contrarsi nel piccolo Pays d'Aoste delle occasioni di lavoro in molti settori un tempo floridi, come l'industria o il settore edile e languono fabbriche di idee e attività come dovevano essere le famose pépinières d'entreprises a Pont-Saint-Martin ed Aosta, dopo i fasti della siderurgia. E' evidente l'importanza di questa logica di mantenere spazi che non costringano all'emigrazione ed occasioni per far rientrare quando abbia voglia di farlo, ma ritengo possibile fare un passo avanti. Mi spiego con una esempio apparentemente distante: quando mi venne l'idea di un riconoscimento che premiasse gli "Amis de la Vallée d'Aoste" - prima che venissero insignite persone dalla dubbia affezione verso la nostra Valle - pensavo davvero che si dovesse trattare di una sorta di gruppo di nostri amici sinceri che periodicamente si trovassero per trasferire impressioni ed idee che facessero crescere la nostra comunità. Ebbene il gran numero di giovani emigrati valdostani nel mondo oggi potrebbero fare rete e aiutare la nostra comunità ad avere in loro delle persone che, analogamente agli sforzi interni, ci forniscano dai loro diversi luoghi di vita spunti, opinioni, critiche, contatti che rafforzino la Valle in un momento difficile e in cui tutto sembra rallentare e bisogna spremere le meningi. Questa sorta di "Confrerie", che potrebbe mettere assieme anche tanti eredi di generazioni passate di emigrati valdostani che stanno riscoprendo le loro radici , sarebbe una bella forza su cui contare. Utopia? Può anche essere e si sa che le utopie sono "non luoghi" che nascono apposta per vedere un giorno di essere realizzati, perché sennò cosa diavolo ci stiamo a fare. Mai come oggi - con le Reti consentite dalle tecnologie digitali - ciò potrebbe essere a portata di mano e sarebbe così possibile dar vita ad un network che potrebbe rendere più solida e più grande la nostra Valle.