Guardo le montagne attorno a me, spesso in zone che conosco a menadito e sono in grado, con la mia sola memoria fotografica, di comparare luoghi odierni con quelli fissati nella mia memoria. L'altro giorno, nel comprensorio del Crest, sopra Champoluc, nel Comune di Ayas, pensavo a certi inverni "nevosissimi" della mia infanzia, quando certe quantità di neve consentivano ancora in primavera di fare fuoripista dove oggi ci sono grosse rocce che non sono mai più state ricoperte. Non è un atteggiamento di esercizio nostalgico della memoria, che sarebbe inutile, ma si tratta di capire che cosa in pochi decenni sia avvenuto e non si stia per nulla arrestando.
Prepararsi al cambiamento climatico in zona alpina è una questione seria, e mi spiace doverci tornare, e se lo faccio è perché lo ritengo necessario non solo per un assillo astratto, perché qui - cari miei lettori, che spesso incontro di persona e apprezzano queste mie note quotidiane - ne va non solo del futuro del nostro territorio ma della vita futura dei valdostani che qui abiteranno e delle attività economiche che potranno svolgersi, così come della loro vita comune, culturale e sociale. La Scienza e non le chiacchiere da bar dimostrano che il riscaldamento globale colpisce con rapidità e sotto l'influenza non di cambiamenti sempre avvenuti ma perché in passato ciò non era determinato come sta avvenendo ora in modo così decisivo dai comportamenti umani. Passo avanti e chiudo perché mi sono stufato degli antiscientifici: che siano i cretini che credono che la terra sia piatta o chi pensa che mai gli americani siano stati sulla Luna, quelli che si bevono che i vaccini siano un'invenzione delle case farmaceutiche e che il cancro si curi con efficacia attraverso intrugli da stregoni, quelli che non credono nell'evoluzionismo in favore del creazionismo e chi vive di complottismi tipo le scemenze sull'attentato alle "Torri Gemelle" o le "scie chimiche" dietro ai jet. Basta! E' ora di ribellarsi all'ignoranza ed all'oscurantismo e trovo che questa cosa del cambiamento climatico risulti essere un utile terreno per dimostrare chi è sul pezzo e chi invece vive in un mondo immaginario. Ci pensavo di fronte a questa natura brulla di un Natale senza neve, anzi peggio: di una neve rara e pure sofferta per il caldo ed il freddo che si susseguono capricciosamente. Chi lo segnala come anomalia trova altri che con pacifico candore, discettano sui periodi storici eccezionalmente caldi o freddi, senza capire che oggi la vicenda è diversa. Facciano pure, rotolandosi nelle loro convinzioni! Però facciamo qualcosa ed uno dei campi di prova sta nell'evoluzione del turismo invernale e lo si vede mettendo il naso fuori dalla finestra. Ma anche su questo attenzione alle storture. Spuntano infatti i soliti estremisti che dicono: «basta con lo sci, tanto non nevica più e l'uso di innevamenti artificiali è un forzatura dei cicli naturali. Bisogna creare un turismo "dolce" (sic!) e trovare una nuova vocazione per il turismo invernale, chiudendo impianti di risalita e sbarrando le piste nel nome di una Natura sacralizzata» rispetto alla quale noi umani risultiamo essere i cattivi di turno. Vorrei che ci si intendesse: errori e storture ci sono stati, lo sci non deve essere una monocoltura senza alternative, l'uomo deve rispettare la Natura. Ma questi processi devono avvenire non con logiche fideistiche ma con modelli di sviluppo e modalità di convivenza con il proprio habitat che siano equilibrati e discusso e non oggetto di forme di estremismo politico che somigliano a certe forme settarie di stampo religioso. Per questo: per fortuna esistono tecniche di battitura pista che consentono di mantenere la poca neve in pista e che la vituperata neve artificiale supplisce l'assenza di quella naturale. Oggi allo sci non c'è alternativa seria per attirare turisti che - per quanto siano meritevoli - occupano in pochi casi nicchie di mercato da sviluppare ma senza pensare che siano flussi che possano sostituirsi tout court alle frotte di sciatori. E ci sono tante località senza impianti di risalita che sono terreno naturale per sperimentare - e in parte si sta facendo - formule nuove per il turismo invernale che abbiano un carattere complementare e non sostitutivo. Sperando - in scala ben più vasta - che si faccia qualcosa a livello mondiale per bloccare il riscaldamento globale, anche per salvare le Alpi e le loro caratteristiche da un cambiamento così brusco da cambiare molte cose.