Inizierà tra breve la solita querelle natalizia su come ci si debba comportare nelle scuole con i simboli del Natale, quelli più tradizionali come il presepe e le canzoncine in tema religioso e quelli di importazione, ma radicati, come l'albero di Natale e Babbo Natale. A dire il vero c'è già una partenza di queste ore, visto che non ci sarà nessun concorso di presepi nelle scuole di Ivrea per rispetto - così si dice - degli alunni di altre religioni. Una decisione presa dalle dirigenze scolastiche della città che non parteciperanno all'iniziativa promossa dal Comune. Bum! La storia è nota: la presenza di giovani di religione islamica pone il problema di come comportarsi con chi non solo non santifica il Natale per ovvie ragioni di una fede diversa, ma anche ha un approccio critico verso gli altri simboli già citati, che si rifanno comunque alla festività non riconosciuta come tale da chi crede in Allah.
Anche in Valle d'Aosta c'è chi ha estremizzato la situazione, cancellando segni della tradizione in favore di vaghi messaggi di "Pace e di Amore universale", che saranno pure condivisibili, ma tendono ovviamente a soddisfare chi del Natale non vuole sentire parlare nel nome della laicità della scuola (ovvio il paradosso, visto che finisce per agevolare chi brandisce un'altra confessione) che del rispetto della diversità religiosa e culturale. Che l'onda lunga della polemica incomba lo dimostra la notizia arrivata dalla Provincia autonoma di Trento, così riassunta da "L'Adige": "Crocifisso e presepio di Natale in tutte le scuole del Trentino: lo ha annunciato nell'aula del Consiglio Provinciale, il presidente della giunta provinciale Maurizio Fugatti. Secondo il governatore bisogna che vengano coltivate le «radici cristiane» della nostra tradizione". Poi lo stesso giornale offre un riassunto dell'argomento "crocifisso": "La normativa relativa all'imposizione del crocifisso nelle aule scolastiche in Italia trova una prima (indiretta) indicazione nella legge Casati del 1859 sull'importanza della religione cattolica nelle scuole del Regno di Sardegna. Le normative citate dalla giurisprudenza sono contenute in due regi decreti del 1924 e 1928, mai abrogati, relativi rispettivamente alle scuole elementari e medie, sugli arredi scolastici delle aule, dove il crocifisso figura insieme con il ritratto del re d'Italia (con la repubblica, aggiornato con il ritratto del presidente). Non ci sono chiare indicazioni normative per le scuole materne, superiori ed università. Chi si oppone all'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche contesta la violazione del principio di laicità professato dallo Stato italiano. I tribunali civili però si son detti non competenti a giudicare in materia: poiché le indicazioni del ministero non sono vere e proprie leggi civili, ma provvedimenti amministrativi interni alla scuola, la competenza spetta ai vari TAR. Il Consiglio di Stato, di grado superiore ai vari TAR nazionali e supremo organo di consulenza amministrativa, si è pronunciato a favore della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche con un parere del 1988 e uno del 2006. La Corte europea per i diritti dell'uomo il 3 novembre 2009 con la sentenza Lautsi v. Italia stabilì in primo grado di giudizio che il crocifisso nelle aule è «una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni e del diritto degli alunni alla libertà di religione», imponendo all'Italia un risarcimento di cinquemila euro per danni morali. Tale sentenza è stata poi ribaltata in secondo grado il 18 marzo 2011, quando la Grand Chambre, con quindici voti a favore e due contrari, ha assolto l'Italia accettando la tesi in base alla quale non sussistono elementi che provino l'eventuale influenza sugli alunni dell'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche". Per cui questa è la prima situazione. La seconda, quella del presepe e degli altri annessi e connessi, appare ben diversa in assenza di normative vere e proprie, di cui lo stesso Trentino deve tenere conto, se non spingendo la questione con apposita normativa provinciale, destinata a naso a finire alla Corte Costituzionale. Io penso con franchezza che ci vogliano buonsenso e misura. Negare la presenza di simboli natalizi tradizionali sarebbe davvero assurdo e non si tratta di imporre ma di proporre, spiegando le differenze che ci possono essere. Nulla impedisce che ci sia, in occasione di festività di fedi diverse (islamica, ebraica o altro ancora), la possibilità di spiegarne origini e ragioni. Solo dal confronto reciproco nasce quell'arricchimento che può servire anche ai più piccoli di capire il rapporto con gli altri. E' la sola modalità che conosco per spazzar via quegli ideologismi che creano ostacoli e barriere: si comincia con le incomprensioni e si finisce nella violenza. E non è solo questione di simboli religiosi o di altro genere a confronto.