Chi mi conosce sa quanto da sempre abbia ritenuto essenziale darsi da fare per ottenere e spendere i fondi comunitari e lo sostenevo già prima di avere avuto, per un certo periodo, responsabilità decisionali sulla materia Politica regionale (che è una buona parte degli "aiuti" europei) al Parlamento europeo. Lo stesso vale per il periodo in cui ho avuto per la Valle responsabilità sugli Affari europei (fra il 2003 e il 2008) e sono pronto a sostenere ovunque un fatto certo e certificabile. Mi spiego: la programmazione dei fondi interessa periodi di tempo medio-lunghi (sette anni) e in quanto "programmazione" presupporrebbe che, per l'attuale periodo, fossero state messe in campo azioni e strategie di lungo periodo nel decennio precedente.
La catastrofe finanziaria della programmazione in corso è quindi imputabile a questa grave mancanza nell'azione politico-amministrativa dal 2008 in poi, quando è mancato l'impulso politico, dedicato più a storie del nostro cortile ed interesse di breve periodo che ad azioni ad ampio respiro. Oggi anche in questo campo ne paghiamo le conseguenze. Bisogna sapere programmare per spendere, ma bisogna anche essere presenti ai tavoli in cui proprio in questi mesi si sta decidendo la prossima programmazione dei fondi destinati allo sviluppo regionale ad ampio spettro. Le incertezze rispetto alla posizione Italiana in seno all'UE causate da questo Governo giallo-verde potrebbe causare la revisione delle prospettive di destinazioni di bilancio per la coesione territoriale destinate all'Italia (la posizione della Commissione era di +2,5 miliardi). Inoltre, qualora anche le risorse rimanessero quelle proposte dalla Commissione, lo spettro che pesa sulla nostra regione è che di queste risorse meno del cinquanta per cento verrà destinato alla cooperazione territoriale (quindi agli "Interreg"), prediligendo lo sviluppo del Sud Italia. In più, per gli Stati che non rispetteranno gli obblighi di Bilancio, esiste la prospettiva di non usufruire più dei fondi europei come punizione per il mancato rispetto delle regole. A Roma come a Bruxelles i parlamentari e da noi gli amministratori regionali, invece che delle piccole scaramucce per le poltrone da spartirsi, dovrebbero essere presenti e sapersi muover ora per evitare oggi che dal 2021 il problema non sia la capacità di spesa, ma l'assenza di fondi da spendere. Oggi ne discute il "Comitato delle Regioni" a Bruxelles ed un recente documento la "Conferenza delle Regioni" ricorda come "il futuro Quadro finanziario pluriennale (QFP) della UE debba essere ispirato al rilancio del processo di integrazione europea, privilegiando l'approfondimento dell'integrazione e una visione europea delle politiche di sviluppo". Questi soldi sono preziosi anche per i valdostani, così come la Rete che spesso si crea con i propri partners. A maggior ragione, quando le risorse proprie - come sta avvenendo da alcuni anni per la Valle d'Aosta - hanno subito una brusca frenata e c'è necessità di ricercare finanziamenti e quelli di provenienza europea possono rivelarsi preziosi. A condizione, certo, che ci sia - oltre a quanto già detto sinora - la capacità di intercettarli e la voglia di impegnarsi in procedure burocratiche che, in barba alle promesse periodiche di semplificazione, possono spingere molti a rifiutare di occuparsene. Ed è quanto purtroppo capita anche da noi per la difficoltà di montare progetti che poi potrebbero non andare a buon fine e anche per paura che rendicontazioni imperfette possano, nella fase assai complicata dei controlli ex post, creare dei buchi nei budget predisposti. Scelte disdicevoli, naturalmente, perché certi "rifiuti" impoveriscono la Valle, causate anche - spiace dirlo - da certa ignoranza sui meccanismi comunitari di una parte di classe politica non sufficientemente preparata. Ci sono poi naturalmente situazione che si ingarbugliano, come avvenuto da noi per il "Fondo Sociale Europeo", il cui cuore è il tema importante dell'occupazione e della formazione, con il rischio di perdere fior di milioni e ciò avviene, come dicevo, in un periodo in cui non bisognerebbe avvenire per le ristrettezze di Bilancio. Leggevo in queste ore quanto scritto su "StartMagazine" da Enrico Martial, che si è sempre occupato di queste materie europee. E che osserva, occupandosi del quadro nazionale: «Si avvicina la fine dell'anno insieme al cosiddetto "disimpegno automatico", cioè al procedimento con cui l'Italia dovrebbe restituire la parte dei fondi europei che non sono stati spesi entro i tre anni successivi al loro impegno finanziario. Sui 646 miliardi di euro di fondi strutturali per l'intera Europa (di cui 460,4 miliardi di fondi europei), l'Italia occupa il secondo posto dopo la Polonia con una spesa totale prevista di quasi 76 miliardi (75,950 di cui 44,650 miliardi di fondi europei). Pur considerando che sempre di tasse si tratta, parliamo di spese per investimento, nell'arco formalmente di sette anni (2014-2020) ma in realtà concentrate proprio tra il 2018 e il 2020, per un potenziale di circa 18 miliardi all'anno su quattro anni, per gran parte nel sud del Paese. Per darne una misura, dei 76 miliardi per l'Italia, la Sicilia ha 7,5 miliardi, il Lazio quasi 2,7 miliardi, il Piemonte 2,8. La spesa avviene per programmi, simili in tutta Europa: per le infrastrutture, la formazione, lo sviluppo rurale, svolti prevalentemente su base regionale e a volte statale. La Commissione europea delega quasi tutto: partecipa alle riunioni di sorveglianza ed effettua i pagamenti per avanzamenti, mentre l'attuazione è nella piena responsabilità delle Regioni e dello Stato». La situazione, dice Martial, non è rosea: «Al 31 giugno 2018 il monitoraggio nazionale dava un ritardo di spesa con rischio di disimpegno: i 2,4 miliardi di euro certificati corrispondevano soltanto al 53 per cento dell'obiettivo, e mancavano quindi all'appello 2,12 miliardi in 18 dei 51 programmi italiani. Si trattava di un ritorno al passato, perché il mantra dell'Italia in ritardo sulla spesa era stato superato nei settenni precedenti. Spendere un paio di miliardi in cinque o sei mesi pareva inoltre difficile in una macchina complessa in cui si sommano procedure europee e burocrazia nazionale. Poiché il cofinanziamento statale si trovava sopra la soglia minima prevista dall'Unione in diversi programmi, l'Agenzia per la Coesione ha convinto alcune Regioni e Ministeri a spostare 966 milioni di euro di fondi nazionali su un programma-parcheggio, il POC "programma operativo complementare". Per vederli persi a Bruxelles, tre regioni - Sicilia, Basilicata e Molise - l'Agenzia per la coesione e il Ministero dell'istruzione con due programmi ciascuno, il Ministero del Lavoro con il programma "Inclusione" hanno accettato di depositarli con qualche rischio. Infatti il POC, come programma-parcheggio, può essere utilizzato dallo Stato per prelievi di risorse che dovessero mancare da altre parti, come fa temere questa fase di spread e di politiche giallo-verdi da attuare. I programmi in ritardo stanno comunque tentando di accelerare la spesa per il restante 1,2 miliardi. Tolta la Sicilia, che probabilmente qualcosa dovrà restituire, il tentativo è in corso. La Rete nazionale di sviluppo rurale il 13 novembre scorso dava notizia di progressi nella spesa "rurale" al 31 ottobre: per esempio Friuli e Campania avevano sostanzialmente raggiunto l'obiettivo, e si notavano solo alcuni ritardi sparsi, per esempio in Liguria e Abruzzo, per un totale nazionale di circa 60 milioni sui 245 che erano a rischio al 31 giugno. Lo scenario di fine anno quindi non è dappertutto drammatico. Ecco i dati aggiornati a pochi giorni fa: "Al 29 novembre 2018, l'Italia ha speso 10,289 miliardi di euro, pari al 14 per cento dei 76 miliardi totali: siamo al quart'ultimo posto davanti a Croazia (13 per cento), Spagna (12 per cento), Malta (11 per cento). Al primo posto c'è la Finlandia, quasi con il 50 per cento, mentre Germania e Francia hanno speso ognuna il 26 per cento della loro dotazione. D'altra parte, se il livello di utilizzo dei fondi europei continua a essere una cartina di tornasole dell'efficienza del Sistema-Paese - come ricordava Giuseppe Chiellino sul "Sole-24ore" del 12 novembre - è pur vero che i ragionamenti sulla qualità della spesa sono assai rari e certo non entrano nel dibattito. Sul tema vanno appunto ricordati, tra l'altro, la continuità degli stessi beneficiari, la limitata durata temporale degli effetti di vari investimenti "immateriali" e di qualcuno "materiale", la fuga di soggetti interessati dai fondi per la formazione per la loro farraginosità e rischio, la durata dei procedimenti mentre cambiano le ragioni che hanno originato i progetti, l'elitismo tecnocratico che limita l'accesso ai fondi, lo scarso o assente effetto sul Pil di alcune Regioni del sud, la bassa consapevolezza politica sulla relazione tra le priorità dei programmi europei e gli indirizzi nazionali o regionali. Il fronte della spesa è comunque interessante perché alcuni programmi che segnano il passo sono proprio quelli a cui è affidato il miglioramento della programmazione. Dai dati del sito della Commissione europea che li tiene aggiornati, il programma Governance, gestito direttamente dall'Agenzia per la Coesione territoriale, ha speso al 29 novembre 2018 solo 5,8 milioni, cioè meno dell'uno per cento dei 780 milioni assegnati. E dire che l'Agenzia è nata nel 2013 proprio per consigliare regioni e ministeri nella celere e buona attuazione dei programmi europei». Con buona pace di chi sostiene ancora che lo Stato è sempre più efficiente delle Regioni...