Muta ammirazione: così si può definire in autunno il mio sguardo su alcuni panorami dei boschi valdostani d'autunno con colori che salgono dal fondovalle sino al biancore delle prime nevi sulle cime. Eppure questi boschi sono croce e delizia. Ci pensavo di questi tempi, specie quando piove a dirotto e tira vento. Dopo la morte di due coniugi sulla strada della Valle del Lys, uccisi dal crollo sulla loro auto di un vecchio castagno, mi sono messo a guardare boscaglie e alberi singoli che sulle Statali e Regionali per non dire di certe Comunali minacciano le strade per via dell'impazzimento dei boschi che dilagano in Valle d'Aosta.
Una prima curiosità l'avevo avuta, quando abitavo in una frazione montana di Saint-Vincent, in una stagione secca in cui i diversi punti della Valle erano partiti incendi che avevano minacciato e persino danneggiato delle frazioni investite dalle fiamme. A due passi da casa mia c'era un bosco ormai impazzito e trasformato in una specie di selva inestricabile. Avevo anche controllato chi ne fosse proprietario, verificato che esisteva una mappatura comunale per rischio incendi che citava obblighi manutentivi proprio per evitare che foreste a ridosso di centri abitati fossero potenzialmente pericolosi in caso di roghi. L'alluvione distruttiva del 2000 nella Regione aveva confermato fenomeni come alvei dei torrenti trasformati in boschetti con la creazione di sacche d'acqua per via di detriti e legni che formavano pericolosi sbarramenti, oltre alle reti secondarie di canalizzazione anch'esse invase da sterpaglie infestanti ed ingombranti. Mi aveva poi incuriosito il fenomeno delle centrali elettriche a biomasse, che alimentate a legno, sembravano essere una soluzione interessante per incrementare il lavoro di ripulitura dei boschi per i prodotti per alimentare gli impianti, scoprendo poi che questo potenziale lavoro per i boscaioli era caducato dal costo inferiore di prodotti provenienti da altrove e ciò vale anche per legna e "pellet" ad uso privato. Trovo ora sul "Corriere della Sera" un articolo di Agostino Gramigna, dedicato al professor Mauro Agnoletti, docente di Storia del Paesaggio e dell'Ambiente all'Università di Firenze. La sua affermazione, che apre il cuore a qualunque conoscitore delle montagne e abitante delle Alpi è la seguente: «Il paesaggio non è mai solo un prodotto della natura». Poi qualche dato: «in Italia ci sono oggi dodici milioni di ettari, quando ottant'anni fa erano cinque! L'Italia importa dall'estero l'85 per cento del proprio fabbisogno di legna!» Osserva il professore: «Una boscaglia non gestita non svolge alcuna funzione. Perde il valore economico, sociale e culturale». Nell'articolo si illustra bene come l'abbandono del bosco sia il frutto dell'industrializzazione con l'abbandono delle campagne e della loro manutenzione e della globalizzazione dei mercati, che aprono a prezzi più bassi dei prodotti locali. Si osserva poi come si sia affermata la visione di una natura estetica, che va difesa dalla mano dell'uomo - ideologia nata nei Paesi del Nord Europa - e che ha trovato spazio nella nostra legislazione. Osserva ancora Gramigna e questo vale anche per la Valle d'Aosta: «Tutti i boschi sono soggetti a vincoli a partire dalla legge Galasso del 1985. L'idea distorta della conservazione finisce per far sì che nel bosco non si possa fare niente». Lo scomparso Albert Cerise, che era un forestale prima ancora che politico e gli brillavano gli occhi quando parlava della materia che amava, segnalava sempre la sua preoccupazione dell'aumento indiscriminato dei boschi, che non significa affatto l'efficienza del sistema forestale. Leggevo su "Environnement" cosa scrisse Christian Chioso: «I dati storici confermano, per quanto riguarda il territorio valdostano, questo andamento di crescita della superficie boscata complessivo: il primo inventario forestale è del 1795 e gli ettari misurati ammontavano a 58mila; la superficie, in seguito, è drasticamente diminuita, arrivando alla fine del XIX secolo a circa 25mila ettari. Il XX secolo ha visto una notevole espansione del bosco soprattutto nel secondo dopoguerra, arrivando ad una superficie di circa 90mila ettari nel 1999». Vent'anni dopo gli ettari sono quasi 100mila! Rispetto alla superficie potenzialmente occupabile (tolte le zone di alta quota), che è pari a 195.600 ettari, le foreste occupano ormai il 49 per cento della superficie, tenuto conto che l'altitudine media della regione supera i 2.100 metri. Per il bosco ricordo come il 61 per cento siano di proprietà privata, mentre il 39 per cento siano di proprietà pubblica (per lo più Comuni e Consorterie). La legislazione regionale in materia e poco applicata e finanziata e l'abbandono alla rinaturalizzazione selvaggia e pericolosa incombe con tutti i suoi rischi. Piange il cuore che la Valle non sia un esempio e lo sia l'Alto Adige/SüdTirol, che Gramigna così descrive: «Lì si è deciso che ci dev'essere equilibrio fra bosco e pascolo, intervento dell'uomo e della natura. Montanari seri, hanno capito che il paesaggio dev'essere culturale altrimenti la gente se ne va».