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09 nov 2018

Le bufere sulle Dolomiti

di Luciano Caveri

Mi è venuto da piangere a vedere le immagini filmate dai droni, suggestive e tristemente efficaci del disastro avvenuto, in certe zone delle Dolomiti, specie nel Bellunese, dove sono stato anni fa e che è la zona più povera a confronto con le vicine Province autonome di Trento e Bolzano/Bozen. Vaste aree sono state colpite al cuore da una specie di tornado di venti fortissimi e pioggia battente, che hanno isolato i centri abitati e messo a rischio la vita dei residenti per la lunga interruzione dei servizi essenziali ed i danni che peseranno sull'economia nei settori produttivi. Da noi le temperature rigide che hanno fatto nevicare in quota hanno evitato il peggio, anche se dappertutto si sono viste situazioni idrogeologiche delicate (la "Monjovetta" resta il punto più dolente per il gran traffico sulla "Statale 26") e caduta di alberi, uno dei quali - un vecchio castagno caduto sulla strada - ha fatto due vittime che transitavano sulla Regionale 44 della Valle del Lys. Mi sono venuti in mente le miriadi di strade assediate da foreste ormai senza controllo alcune, talvolta gallerie di verde che minacciano chi transita.

Il cambiamento climatico ci perseguiterà con fenomeni eccezionali, che pure esistono da sempre sulle Alpi, ma hanno subito accelerazioni e punte di violenza allarmanti. In più se la Natura fragilizza sé stessa va detto che il progressivo abbandono di paesi e villaggi comporta un abbandono di larghe parti del territorio con conseguenze gravi sulla mancata coltivazione, manutenzione di terrazzamenti e delle opere di regimazione delle acque, di presenze attive di presidio della montagna. La diminuzione delle risorse pubbliche impedisce che squadre forestali suppliscano in parte alle vecchie corvée degli abitanti di un tempo e molti privati hanno abbandonato boschi e terreni ereditati con l'inselvatichirsi che la fa da padrone. Questo stato selvaggio - esaltato da certi "ambientalisti della pianura" - non è per nulla un positivo ritorno alla naturalità e nuoce gravemente agli spazi alpini, forgiati nel tempo dai montanari. Scriveva ieri Reinhold Messner su "La Stampa" in un testo raccolto da Enrico Martinet: «La Natura non riesce più a seguire il cambiamento climatico. E' sorpresa dalla velocità. Un po' come noi, che fatichiamo a stare al passo con lo sviluppo tecnologico e mediatico. Almeno, per me è così. Il governatore del Veneto parla di rischio di spopolamento della montagna. In realtà il suo Veneto si è spopolato mezzo secolo fa in cerca di lavoro. Le loro terre alte hanno proprietà troppo divise e per questo è difficile avere un'economia agricola che possa reggere. Da noi in Alto Adige c'è il sistema del maso chiuso e la somma tra bellezza selvaggia e sapere contadino ci ha consentito di stare qui. La Provincia ha aiutato i contadini proprio perché tutelano il paesaggio. Di questo passo fra vent'anni nessuno potrà più vivere in montagna. Nel Bellunese ci sono le Dolomiti più belle. Anch'io avevo cercato di fare qualcosa, un investimento museale, ma non è stato possibile. Il cambiamento cui assistiamo fa paura. Dopo queste bufere chi non ne ha? E' una paura cupa che si aggiunge a quella per le politiche cui stiamo assistendo. Vivere in montagna significa vivere in un mondo esposto. Per due giorni e due notti a Castel Juval dove vivo, in cima ad un promontorio roccioso, non ho avuto corrente elettrica. Poco male. Ma quello che ha subito la natura, anche secondo la testimonianza di un mio vicino centenario, è qualcosa di inedito. Un vento anomalo che risaliva da Sud il versante della montagna ha abbattuto piante di oltre un secolo. Gli alberi hanno tanto tempo per imparare, eppure in cent'anni non hanno saputo costruire difese per questa improvvisa anomalia e sono state divelte. Il mio cedro himalayano ha perso un grande ramo sul lato dove non aveva mai subito ferite. Per frenare lo spopolamento ci vogliono soldi. Il governo centrale deve pensarci. Proprio adesso Matteo Salvini potrebbe annunciare "fermiamo altre spese". Invece di rincorrere promesse impossibili da realizzare il governo di Roma dovrebbe proporre un patto, un trattato sul clima per frenare l'inquinamento, responsabile dell'aumento delle temperature. L'Italia non ha colpe, ma corresponsabilità. Prenda l'iniziativa. Proponga l'intesa con l'Unione europea e con tutti i Paesi sensibili al problema. Sappiano che il presidente statunitense Trump e la Cina vanno in altre direzioni. E' il tempo di aiutare la natura, il pianeta, noi stessi». Ho seguito con curiosità la parabola politica del grande alpinista Messner, da quando lo conobbi in passato, specie quando eravamo colleghi al Parlamento europeo e lui militava fra i Verdi con cui poi il feeling si è interrotto. Ciò - mi pare si possa dire - è avvenuto perché Reinhold ha ormai fissato una visione pratica e non ideologica, non da "ecologista di città" ma da montanaro, conscio di tradizioni e cultura locale che rappresentano la Montagna, a differenza di chi pontifica con visioni stereotipate e che predica di "Terre Alte" da lasciare solo al "Wilderness" (Natura selvaggia) ed al colonialismo dei Parchi. E' indubbio che il famoso sudtirolese abbia maturato posizioni diverse rispetto allo sfondo propagandato dalla protesta clamorosa a Punta Helbronner contro le funivie del sistema sul Monte Bianco che lo vide protagonista trent'anni fa. Si sappia che le Alpi senza montanari sono destinate a scivolare a valle, specie in un'epoca in cui le forze naturali sono più aggressive e, proprio senza la componente umana sul posto, tutto diventerà invivibile anche per le zone subalpine sottostanti. Ora, o si interviene su cambiamento climatico e contro lo spopolamento (di abitanti consapevoli e non con stagionali o migranti segregati) oppure il degrado si aggraverà e cambierà la sostanza della geografia fisica delle nostre montagne e della civiltà alpina in grado di farle vivere e di valorizzarle.