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06 nov 2018

Il cambiamento climatico non è una bugia

di Luciano Caveri

Chi non crede alle responsabilità umane nel complesso di conseguenze derivanti dal cambiamento climatico in corso lo fa - con evidente rozzezza ma piacendo a chi non vuole occuparsene - con una tesi principale siffatta: in milioni di anni i mutamenti sono avvenuti anche quando gli ominidi erano una specie marginale con scarse possibilità di affermarsi e questo vale ancora oggi che gli uomini hanno in mano i destini della Terra. Ho letto qualche libro di chi sostiene queste tesi, contestando le risultanze largamente maggioritarie del mondo scientifico, negando di conseguenza l'incidenza decisiva dei nostri comportamenti come elemento che sta accelerando processi di innalzamento delle temperature con conseguenze gravissime anche sulle nostre montagne, in un territorio fragile ed estremo come la Valle d'Aosta. Dove il tema decisivo non viene evocato dai programmi politici con una visione legata al contingente e non ad un'azione concreta di previsione e di contrasto rispetto a che cosa avverrà e a come cambierà non solo nella geografia ma soprattutto nel tessuto sociale ed economico.

E' necessario senso di responsabilità delle attuali generazioni verso le prossime. Basti pensare, per capirci, a qualche negazionista locale che invita a guardare il movimento periodico dei ghiacciai, discesi e saliti secondo ritmi che prescinderebbero dunque dalle nostre attività, ma apparterrebbero a meccanismi insiti nel nostro pianeta e nelle sue dinamiche. In fondo non ci sarebbe nulla di nuovo nella presenza di logiche antiscientifiche e contro persino ogni logica: in Italia abbiamo al Governo chi crede alle "scie chimiche" per avvelenare l'umanità, ha sposato logiche anti-vacciniste che stanno facendo ritornare gravi malattie, preferisce il trasporto su gomma a quello su rotaia con danni ambientali crescenti, segue teorie bislacche per curare i tumori che uccidono le persone, ritiene che l'indebitamento pubblico da capogiro faccia ripartire l'economia e non il contrario, crede che la vera democrazia sia nel "Grande Fratello" della Rete, ritiene che la conquista della Luna sia stato un falso girato in uno studio televisivo e via di questo passo. Massimiliano Panari, ieri su "La Stampa", ha ben descritto dei "Cinque Stelle" e del loro «postmodernismo reazionario», che sposa all'utilizzo assai efficace delle tecnologie digitali una visione anti-moderna ed anti-illuministica, in cui si mescolano la decrescita (infelice) che addita le infrastrutture come il male assoluto (cosa diversa dalle obiezioni di merito), lo Stato etico «"neopauperista" che elargisce il "reddito di cittadinanza", un certo compiacimento apocalittico e un ruralismo (falsamente) bucolico». Nel caso del "climate change" l'aspetto inquietante è che ci sono decisori determinanti, come il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che hanno detto con chiarezza di non crederci, boicottando gli accordi internazionali, come quello di Parigi, che cercavano di applicare contromisure per evitare il peggio. Eppure basta guardare quanto avviene con periodicità e ancora in questi giorni sulle Alpi, con la furia che sulle Dolomiti ha abbattuto boschi secolari e sconvolto antichi borghi, ed in Liguria, con moli distrutti da onde oceaniche e spiagge scomparse, per capire esattamente il contrario. Leggevo su "Libération" un articolo a più mani di Dominique Bourg (Università di Losanna), Franck Pupunat ("Mouvement Utopia") et Marie-Antoinette Mélières (ricercatrice climatologa). Chiara la loro impostazione: «Le récent rapport du Groupe d'experts intergouvernemental sur l'évolution du climat, en se centrant sur les deux scénarii de réchauffement où la température moyenne globale ne s'élèvera que de +1,5° et +2° C par rapport aux niveaux préindustriels, et en présentant les conditions auxquelles ils sont réalisables, contourne le problème et en amoindrit paradoxalement l'urgence. Ce qui est en effet en jeu, c'est que notre trajectoire actuelle basée sur les dernières décennies d'augmentation de "CO2" laisse résolument derrière elle ces cibles. Elle nous mène de fait à un réchauffement de +3 à 5 degrés, ce qui doit susciter en chacun de nous, citoyen mondial, une réaction de survie, nous conduire à exiger de nous et de nos dirigeants une action sans délai». Nel merito si osserva nell'articolo: «Un tel changement peut être décrit en termos physiques. En revanche, s'il se produit en quelques décennies, son impact sur la biosphère est nettement plus difficile à cerner: hors norme, il devient effrayant. On évoque parfois un effondrement de la démographie humaine. Rappelons qu'un réchauffement de +3° nous projette dans un climat chaud qui n'a pas existé depuis près de trois millions d'années. Qu'est-ce que cela signifie? Depuis un peu plus de 2,6 millions d'années, nous avons quitté un climat chaud établi depuis fort longtemps: se sont alors succédé sans relâche, au cours de dizaines de cycles, des climats tempérés (semblables au nôtre, où la température globale moyenne est d'environ 15°) et des glaciations (baisse de cette température d'environ 5°) bousculant sans cesse flore et faune dans leurs allers-retours. Nous "héritons" actuellement d'écosystèmes dont les espèces se sont adaptées à de telles variations. Un réchauffement de +3° nous fait sortir de ce "méta-équilibre", car au cours des cycles climatiques précédents, en période tempérée, nous avons affronté des baisses (et uniquement des baisses) de la température moyenne globale d'environ 5°, mais jamais des hausses atteignant 3 à 5°C. Ce réchauffement ne peut être envisagé sans une profonde transformation de notre environnement local; se déroulant sur une période aussi courte qu'un siècle, il s'assortit inexorablement d'un bouleversement de notre système de production agricole au niveau mondial. Il devient par exemple hasardeux d'envisager, en dépit de la grande compétence de nos agronomes, que nous puissions produire la nourriture requise pour 8 à 10 milliards d'êtres humains, compte tenu de l'incroyable adaptation nécessitée dans un laps de temps aussi court pour les différents écosystèmes. Quelle céréale ferions-nous croître dans l'est de la France avec des canicules pouvant atteindre, si l'on en croit des chercheurs de "Météo France", les 50 à 55 degrés? Il est inévitable que des troubles pour l'accès à la nourriture se développent en Europe comme à l'échelle mondiale et, il est très probable que seule une fraction des populations tire leur épingle du jeu». Se non si inverte questa tendenza, ci sono tutte le condizioni perché una realtà alpina come la Valle d'Aosta possa diventare invivibile e per questo bisogna compartecipare alla riflessione sul tema e studiare azioni concrete di resilienza anche in ambito locale per evitare di essere travolti dagli eventi.