Anche se non si piange sul latte versato, qualcosa non ha funzionato, sin dai primi momenti, dopo la tragedia del ponte crollato a Genova, e mi riferisco alle reazioni di chi a Roma deve essere sempre cauto nelle dichiarazioni a caldo per il proprio ruolo istituzionale, da non piegare alle esigenze elettoralistiche. Ciò vale in particolare per l'attenzione - fatto nodale in una democrazia occidentale - alla ripartizione dei poteri, che assegna compiti precisi alla Magistratura. Certo, ai giudici spetta ora il compito di essere rapidi nella determinazione dei fatti e delle responsabilità per non far cadere l'inchiesta penale nella palude del "nulla di fatto" o in tempi così lunghi da essere inaccettabili per chi - familiari dei morti e genovesi senza collegamenti in primis - aspetta Giustizia.
Invece, il Governo Conte ha scelto una linea inedita di fronte al dramma, aprendo sin da subito un processo di piazza ai presunti colpevoli, pur con qualche distinguo fra gli alleati. Le dichiarazioni hanno riguardato la Società "Autostrade per l'Italia", disastrosa nella gestione della comunicazione d'emergenza con presunzione e mancanza di delicatezza, nel suo ruolo di gestore per concessione di quel tratto di autostrada-tangenziale con il discusso ponte in calcestruzzo con tiranti risalente al 1967, quando le autostrade erano ancora statali. Mentre i soccorsi erano ancora in corso e un silenzio rispettoso sarebbe stato necessario (e ciò vale anche per i funerali), sono invece volate parole grosse con la scelta, a furor di popolo, di revoca delle concessioni autostradali con polemiche politiche verso i Governi precedenti, che andavano rinviate al post emergenza e svolte nella centrale sede parlamentare, sapendo quanto la questione autostrade sia più profonda del solo dramma del ponte, assurto a simbolo decisivo se varrà per un cambio di rotta vero nella gestione futura del sistema autostradale. Si chiariscano le molte corresponsabilità politiche che riguardano un lunghissimo arco di tempo prima e dopo la privatizzazione in cui si agita di certo la straordinaria capacità lobbistica sui decisori politici (anche in Valle d'Aosta) e sui Ministeri e sull'"Anas" dei gruppi privati detentori delle concessioni. Chi si prendesse la briga di leggere quanto ho scritto per anni sul sistema di potere senza limiti del duopolio autostradale Benetton-Gavio potrebbe verificare che sono stato costante nella denuncia di una privatizzazione che ha peggiorato le infrastrutture stradali ed ha accelerato i costi di pedaggio in modo folle, come ben sanno i valdostani con due tratte con tariffe ormai improponibili. Ma troppi silenzi hanno consentito che questo avvenisse con norme favorevoli ai concessionari, prive dei necessari controlli e con un sistema medioevale di verifica su arterie decisive, con libertà d'azione sugli appalti, in barba, in certi casi, alle regole di concorrenza e con proroghe nelle concessioni lunghissime, in spregio ai medesimi principi. Nel caso valdostano ho già più volte ricordato come ci sia chi consentì - non comprando azioni pubbliche in vendita di proprietà degli Enti locali piemontesi - di acquisire una maggioranza pubblica in "Sav" con il gruppo privato Gavio che divenne di conseguenza socio di maggioranza grazie al passo indietro degli amministratori regionali del tempo, che i soldi per l'acquisizione li avevano (per non dire dei costi folli di opere come la galleria verso il traforo del Gran San Bernardo inserita nelle "Colombiadi"). Mentre per "Rav" lo sforzo finanziario della Regione per la realizzazione dell'Autostrada del Monte Bianco non confluì in un equivalente peso societario per via di un meccanismo azionario certo non favorevole agli interessi regionali. Due occasioni perdute che oggi pesano, e fa sorridere per non piangere certa sudditanza talvolta manifestatasi verso i privati da parte di alcuni nominati della Regione in "Sav" e "Rav", che avrebbero dovuto fare gli interessi della Valle. Tornando a Genova, resta poi evidente che i "Cinque Stelle", oggi veementi contro il crollo del ponte, dovrebbero ricordare la loro responsabilità nella mancata costruzione della strada alternativa - detta "Gronda" - che molti spingevano a Genova, indicando l'obsolescenza del vecchio tracciato e del ponte in cemento armato sottoposto da decenni ad interventi straordinari proprio per i dubbi sulla sua tenuta. Ciò serve come cartina di tornasole per capire bene che le Grandi Opere non vanno demonizzate per partito preso. La questione duopolio autostradale in Valle d'Aosta va affrontata e bisogna farlo qui come in Italia per l'evidente quadro complessivo del sistema con il supporto di Bruxelles, che non è avversario, ma può aiutare a rompere certe logiche che violano i principi di concorrenza e di buonsenso, con potentati economici che, di fatto, stavano ormai avendo una dimensione sempre più europea, a detrimento dei cittadini che si muovono e delle imprese che fanno viaggiare le merci. Se la situazione attuale sarà smontata, non per il solo crollo del ponte ma per il manifesto squilibrio a favore dei concessionari, andrà definito cosa possa comportare per la Valle in termini di "governance" di strutture sul proprio territorio e ciò riguarda anche il Traforo del Monte Bianco (in mano a Benetton) e del Gran San Bernardo (Gavio minoranza influente). Contare di più e seguire il modello pubblico dell'Autostrada del Brennero può essere una scelta, a condizione di non montare carrozzoni inefficienti, trattando sul punto con lo Stato e con l'Unione europea per un avere un quadro giuridico chiaro. Insomma: bisogna avere uno sguardo d'insieme e non guardando alla questione "pezzo per pezzo", come potrebbe essere stato interesse dei concessionari, affinché i valdostani non subiscano le autostrade sul proprio suolo come elementi colonialistici. Questa logica è inaccettabile che avvenga, specie su strutture essenziali per la vita comune (e lo sono anche per tutta Europa). Bisogna ricordare il ruolo di servizio pubblico delle strade per spezzare la conseguenza più visibile: tariffe che obbligano i cittadini valdostani a non prendere più le strade più veloci e sicure per via dei costi iperbolici, ma ciò vale anche per l'assenza di una visione prospettica e di lungo periodo del futuro di arterie così decisive per la comunità locale e per la Rete transeuropea dei Trasporti di cui fanno parte.