Un mattino di giugno, troppo presto per svegliarsi, troppo tardi per riprendere sonno. Devo uscire nel verde gremito di ricordi, e mi seguono con lo sguardo. Non si vedono, si fondono totalmente con lo sfondo, camaleonti perfetti. Così vicini che li sento respirare benché il canto degli uccelli sia assordante". Già, cosa avranno da dirsi la mattina gli uccelli con cui si conclude questa poesia dello svedese Tomas Tranströmer (1931-2015) Premio "Nobel" per la letteratura nel 2011. Li sento cantare in queste mattine e mi domando sempre che cosa li spinga a tante... chiacchiere.
Forse è semplicemente il culminare della primavera, che è già di fatto estate, che li mette di buonumore, perché a differenza nostra non sanno che il solstizio d'estate è alle porte. Così come un frutto maturo la bella stagione inizierà - paradosso cui mai mi abituerò - ad accorciare le giornate proprio all'indomani dell'inizio ufficiale dell'estate. Quell'estate che piace proprio a chi si sente "allodola", così vengono definite le persone che si svegliano presto all'alba in onore di quell'uccellino mattutino - osservato sin dall'antichità per il suo strano comportamento e considerato per questo creatura benaugurale e persino legata ai miti di Artemide - che fin dall'esordio della primavera al mattino presto si solleva quasi verticalmente nel cielo dove canta, lasciandosi cadere a corpo morto verso terra, rincominciando di nuovo a cantare. William Shakespeare chiamava l'allodola «la messaggera dell'alba». Il risveglio per chi è mattiniero, proprio a giugno, è pieno di luce. Mi piace questa necessità di luce, di cui abbiamo consapevolezza in quel che resta in noi di un impalpabile istinto animale, che nobilitiamo come se dovessimo vergognarcene ed invece è il filo che ci lega alla Natura di cui facciamo parte. Sorridevo, pensando a come ogni generazione abbia non solo opere d'arte e d'ingegno che scolpiscono i nostri anni di vita, ma ci accompagnano anche piccole cose - come possono essere le canzoni - che un giorno appariranno museali come lo sono per noi le melodie dei primi vinili. E lo facevo leggendo un'intervista di Paolo Conte che racconta di quella sua canzone del 1968 - avevo dieci anni! - "Azzurro", che per me, più di tanto altro, disegna questo periodo dell'anno con i suoi geniali calembour con la voce di Adriano Celentano, allora nei juke-box e nei mangiadischi: "Cerco l'estate tutto l'anno e all'improvviso eccola qua. Lei è partita per le spiagge e sono solo quassù in città. Sento fischiare sopra i tetti un aeroplano che se ne va. (ritornello) Azzurro, il pomeriggio è troppo azzurro e lungo per me. Mi accorgo di non avere più risorse, senza di te, e allora io quasi quasi prendo il treno e vengo, vengo da te, ma il treno dei desideri nei miei pensieri all'incontrario va. Sembra quand'ero all'oratorio, con tanto sole, tanti anni fa. Quelle domeniche da solo in un cortile, a passeggiar... ora mi annoio più di allora, neanche un prete per chiacchierar... Azzurro... (ritornello) Cerco un po' d'Africa in giardino, tra l'oleandro e il baobab, come facevo da bambino, ma qui c'è gente, non si può più, stanno innaffiando le tue rose, non c'è il leone, chissà dov'è... Azzurro... (ritornello)".
Direi che è una cartolina di un'epoca e mi viene in mente quando proprio in treno tornai dopo gli esami di riparazione - avrò avuto sedici anni - ad Imperia dove avevo trascorso l'estate e scesi alla stazione di Porto Maurizio, dove non trovai nessuno ad aspettarmi. Era solo uno scherzo ed ecco, infatti, la gioia di scoprire che assieme alla mia morosa dell'epoca c'era tutta la compagnia della spiaggia nascosta per farmi una sorpresa. In un'intervista Paolo Conte a chi gli chiede che colore ci sia oggi risponde con acume: «Maròn. Il colore dell'Italia di oggi è maròn. Non ha nulla di epico. Ma scriva grigiastro che è meglio. Facciamo antracite». E non solo colpa dei ricordi che colorano il passato di azzurro, ma delle molte vicende odierne che rendono meno lieti - appunto grigi - anche certi miei risvegli mattutini.