Ci sono parole che usiamo talvolta con superficialità e, quando capita invece di scavare dentro l'etimologia (dalla storia più antica di formazione) e la semantica (significato sempre in evoluzione) troviamo la profondità e anche spunti interessanti nel suo uso. Prendiamo "cecchino": se ci penso mi viene personalmente in mente quando sono stato sugli scenari di guerra nell'attuale Bosnia-Erzegovina e avevo avuto racconti spaventosi sulla crudeltà di chi sparava su militari e civili oppure - di più stretta attualità - del tiratore scelto israeliano che con giubilo colpisce un palestinese con ovvie polemiche. Eppure all'inizio, nella rudezza della vita da trincea, il termine era nato in modo scherzoso e si sa quanto l'uomo sappia trovare, nelle circostanze più tragiche e pericolose, ragioni di scherno, quasi che agisse in modo scaramantico o per esorcizzare la paura.
Così si riassume su "Una parola al giorno", sito ricco di spiegazioni e svelamenti: "Soldato austro-ungarico; tiratore scelto che, appostato, spara con un fucile di precisione su obiettivi singoli da Cecco Beppe, nome con cui era chiamato in Italia l'imperatore Francesco Giuseppe I d'Austria (che regnò sull'Impero Austro-ungarico fino al 1916). Questo termine militare, oggi molto diffuso, indica quel tipo di tiratore che, appostato in luoghi adatti - riparati ma con buona visuale - spara sul nemico a sorpresa o in passaggi obbligati, con colpi precisi e fatali. Questo nome entrò in voga durante la prima guerra mondiale: furono chiamati "cecchini" i soldati dell'Impero Austro-ungarico, essendo sudditi di Francesco Giuseppe (alias Cecco Beppe). Un nome che deve la sua fortuna sia alla sua ironia - che è sempre uno straordinario volano per il successo delle parole - sia alla vaga assonanza col suono degli scatti di un fucile che spara, sia, forse, al fatto che il cecchino, per sparare, chiude un occhio, come se fosse... ciechino. E' anche sinonimo di "franco tiratore", cioè di soldato che, da solo o in gruppo, attacca il nemico senza seguire le strategie normali dell'esercito - elemento che, specie in caso di netta inferiorità militare, gioca un ruolo importante grazie alla sua imprevedibilità. Ma va detto che il significato principale, spesso usato in similitudini e metafore, è quello di tiratore scelto. Quindi si può gettare la cartaccia nel bidone lontano con un tiro da cecchino, il correttore, alla prima lettura, coglie ogni minimo errore con la precisione di un cecchino, e sarà un vero cecchino il calciatore con una mira sorprendente". Interessante in questa attuale temperie politica valdostana, demilitarizzando il termine ci troviamo invece con due parole che raccontano più di altro la nostra situazione. Chi sono i cecchini? Sui social, ma anche sulla carta stampata, ce ne sono e il loro motto è «All'erta sto!», come facevano come controllo reciproco le sentinelle per stare sveglie e vigili. Appena qualcuno scrive loro sono pronti a sparare, come dei cecchini appostati alla bisogna: quasi sempre la loro rozzezza deriva o dal veleno che hanno in corpo o dalla pochezza dei ragionamenti. Eppure negli anni quante persone in gamba hanno lasciato i social per persone come queste, che scambiano la Rete per un campo di battaglia in cui usare i metodi più meschini per primeggiare e rendere favori. Perché non lo si fa solo per propria vanità o a beneficio della propria stupidità, ma si diventa strumento di un mandante con cui poi farsi belli delle proprie prodezze da disturbatori seriali e incivili. I peggiori sono i profittatori che agiscono nel buio dell'anonimato, che dovrebbe essere ormai bandito da chi se ne approfitta e non valga l'alibi - che talvolta ho sentito invocare - riguardante la necessità di mantenere il volto coperto - come fanno i rapinatori con il passamontagna - «per evitare ritorsioni». L'altra parola, ormai nota al sistema valdostano e incubo di chi governa, è "franco tiratore", collegato alla possibilità - discussa sin dai tempi della Costituente - della possibilità in casi particolari di poter adoperare lo strumento del voto segreto. E qui si scopre l'uso di questo termine "franco tiratore", usato ormai più nelle assemblee parlamentari che in battaglia. Si tratta di chi, per colpire la propria maggioranza, usa lo strumento del voto contrario nell'anonimato dell'urna: può essere come un "punto e virgola" nei rapporti politici oppure un "punto a capo" od un minaccioso "punto esclamativo". L'aspetto peggiore è quando questa minaccia resta latente e non sfocia, come deve avvenire nei giusti rapporti, in una posizione evidente, a volto scoperto. Personalmente ho sempre pensato che si debba agire in modo chiaro e leale. Ma la "lealtà" non è molto di moda. Trattasi di termine caduto in desuetudine, che dovrebbe essere invece inalberato come un vessillo. Va ricordato, a questo proposito, che la persona leale è quella che è fedele alla parola data ed è dunque legittimo sganciarsi da questo obbligo morale quando a cambiare sono i termini di quanto era proprio alla base della "parola data". Anche se certe situazioni i cecchini di turno fanno finta di non capirle o forse non ci arrivano davvero!