Lo ricorderete: era la sera del 3 giugno 2017, piazza San Carlo a Torino, luogo simbolo della città sabauda. Per la finale di "Champions League" tra Juventus e Real Madrid venne installato lì un maxischermo per permettere ai tifosi di seguire la partita in diretta dalla Scozia. Ad un certo punto della serata ci fu un moto di folla, che causò, per la calca delle persone in fuga, un totale di 1.527 feriti e una donna morì per schiacciamento. Già si sapeva delle possibili responsabilità - secondo i magistrati - di politici, sindaco Chiara Appendino compresa, e di dirigenti comunali per via della presunta leggerezza nell'organizzazione della serata sotto il profilo delle misure di sicurezza. Le indagini più recenti, che confluiranno in un solo processo, hanno appurato che il panico durante lo svolgimento della partita sarebbe stato causato da un gruppo di rapinatori che utilizzavano spray urticante per rubare oggetti di valore tra il pubblico.
Saranno i giudici a valutare la posizione processuale della banda di giovani indicati come responsabili di questo meccanismo che innescò la vicenda, che paiono reo confessi, anche se i loro legali stanno cercando di contestare il reato gravissimo, che ha portato all'arresto, di omicidio preterintenzionale. L'aspetto che più mi ha colpito è stato il fatto che questo gruppo di ladri, che gia aveva usato in passato questa tecnica delle bombolette al peperoncino per seminare il panico in occasioni pubbliche, era composto da giovani italomarocchini. Premetto, a scanso di equivoci, che non è l'origine delle persone ad essere la ragione delle azioni delinquenziali, come ha sostenuto chi ha subito cavalcato i fatti per ragioni strumentali a sfondo persino xenofobo, ma proprio l'origine non giustifica affatto e all'opposto atteggiamenti buonisti e di comprensione - come dire? - sociologica. Certo, esiste un approccio diverso dagli aspetti penalistici che mi ha fatto riflettere, pensando anche a vicende francesi dove fenomeni di aggregazioni di giovani di origine magrebina, nelle famose banlieues delle città - quartieri a rischio ben noti - hanno creato situazioni di disagio e violenza, dimostrandosi un humus favorevole alla diffusione dell'estremismo islamista in giovani di seconda o terza generazione e terreno fertile, per contro, per il "Front National". Insomma: tutto ruota attorno alla questione dell'integrazione come processo che non è a senso unico e cioè la società ospitante che deve offrirne le condizioni per realizzare questo processo, ma questo presuppone anche che chi arriva deve avere la predisposizione mentale e esercitare un'azione cosciente affinché questo avvenga. Altrimenti si alzano muri di incomprensione. Intendiamoci bene: chi come me ha sempre studiato i meccanismi di tutela delle minoranze storiche in Italia e in Europa ha, come riflesso naturale, la comprensione delle ragioni che portano ogni cultura a mantenere i fondamenti della propria identità. Ma questo non può mai significare non aprirsi al dialogo e al confronto, mantenere usi e costumi che cozzino con i principi costituzionali del Paese di accoglienza, decidere scientemente di chiudersi in società separate. Queste eventuali scelte sono il terreno di coltura di scontri che poi possono sfociare in fenomeni gravi di isolamento sociale, ostilità reciproche e forme di razzismo purtroppo speculari. Penso al principi cardine della parità uomo-donna, al rispetto delle religioni di ciascuno che deve essere basato sulla reciprocità, al dialogo culturale che vuol dire avere il desiderio di conoscersi. Spero di leggere in questi giorni racconti approfonditi delle storie di questi ragazzi di Torino. Ho letto per ora dei genitori attoniti di fronte ai fatti e dichiarazioni dei loro legali che sembrano adombrare tardivi pentimenti, che sembrano però cozzare con intercettazioni che mostrerebbero protettiva così come esibizionismi sui social degli stessi ragazzi. Resta il fatto che, anche nella piccola società valdostana, dove per altro gli stranieri stanno calando per via della crisi economica malgrado l'arrivo anche qui di un certo di migranti, resta forte l'impressione che il meccanismo d'integrazione funzioni poco e - mi sento di scriverlo - non per responsabilità della nostra comunità. Qualcosa nell'equilibrio fra diritti e doveri si è inceppato e bisogna affrontare il tema in modo scientifico per capirne i meccanismi e naturalmente sotto il profilo politico per decidere il da farsi, altrimenti possono vincere gli apprendisti stregoni degli uni e degli altri e questo sarebbe foriero di grossi guai.