"Scherza con i fanti ma lascia stare i Santi". Lo so, lo so. Ma oggi è la giornata che la Chiesa dedica a Sant'Orso, proprio all'indomani della due giorni della Fiera a lui intitolata ed è uno dei casi in cui non vale il detto "Passata la festa, gabbato lo Santo". Questa storia dei Santi valdostani è significativa, sapendo che i più importanti sono: San Grato, Patrono della Diocesi, Vescovo ad Aosta del Quinto secolo; San Bernardo di Aosta, vissuto poco dopo il Mille, fondatore degli Ospizi e Patrono degli alpinisti, Sant'Anselmo di Aosta, personaggio straordinario, dottore della Chiesa, vissuto qualche anno dopo. Eppure il più nominato - in chissà quante lingue in queste ultime ore! - è Sant'Orso, vissuto fra il Quinto o l'Ottavo secolo per via delle incertezze di datazione, santo taumaturgo, una specie di San Francesco alpino. Il più basso in grado fra i Santi, visto che mai fu Vescovo.
Eppure, nei misteri della Storia e per la casualità degli eventi, è diventato famoso in Valle, più di chi aveva in teoria per i propri meriti nella vita maggiori carte da giocare, per via di questa "Fiera" che lo celebra, che è ormai di fatto la "Festa della Valle d'Aosta" anche in considerazione della sciatteria crescente delle celebrazioni che si dovrebbero avere attorno all'Autonomia speciale della Valle. Tutti sproloquiano sui valori autonomisti, ma crepa se si sono creati momenti per rifletterci che non siano i tetri discorsi ufficiali di cerimonie senza calore popolare, e non rievoco per carità di patria l'omicidio in culla della "Festa della Valle d'Aosta" che era stata da me proposta per il 7 settembre di ogni anno. Ma torniamo a Sant'Orso che è meglio. L'altro giorno in radio - in diretta dalla "Foire" - ho invitato lo storico e ricercatore Joseph-Gabriel Rivolin, che mi ha lasciato un testo sulla "Fiera", che illumina la scena sul fatto che la nascita di elementi che contribuiscono al fondamento identitario dei valdostani, come di qualunque popolo, esistono invenzioni, miti che sono in qualche modo un collante utile alla bisogna. Rivolin, con affetto e rispetto per la "Fiera", smonta - documenti alla mano - la datazione "millenaria", che serve al conteggio delle edizioni che si susseguono. Per cui, sin dall'inizio, lo studioso spiega per poi argomentare: «L'an mille, traditionnellement indiqué comme date de naissance de la "Foire de Saint-Ours", est bien sûr symbolique». In effetti il mio amico Joseph usa i documenti, compreso - per una datazione successiva alla tradizione - «un chapiteau du cloître de la Collégiale, qui représente le saint patron distribuant des chaussures aux pauvres» che ci fa supporre che la "Fiera", con la presenza di artigiani che fabbricassero sabot in legno o "socques", potesse essere già esistente verso la metà del dodicesimo secolo. Ma, qualche certezza di questa distribuzione di calzature di questo genere ai poveri, appare in un testamento del 1327. Ma Rivolin cita poi un documento del 1206 trovato dal canonico François-Gabriel Frutaz che spiega come l'attuale centro nevralgico della "Fiera" alla Porta Prætoria fosse chiamato "place des marchés de Trinité". Dunque una sorta di "Fiera" c'era già, ma per avere certezze su quale fosse la vera antesignana dell'attuale lo stesso Frutaz cita una "Fiera" fissata per il 31 gennaio dal mattino alla sera lungo le principali strade del Borgo. Il tutto viene confermato da aspetti di fiscalità derivanti dalla "Foire", attraverso ricerche originali di Rivolin che vanno dal 1305 fino al 1556 (dopo toccherebbe a qualcuno consultare l'Archivio di Stato di Torino). Per avversità atmosferiche la "Fiera", finalmente dedicata senza "se" e senza "ma" a Sant'Orso, non si tenne nel 1307, mentre guerre ed epidemie (tipo la peste) sembrano non creare interruzioni e forse questo potrebbe derivare da un regime forfettario. Documenti ottocenteschi confermano, secondo Rivolin, che nel 1857 la "Fiera" era ridotta al lumicino, mentre nel 1885 i "Comice" la rilanciarono e lo stesso fece dal 1920 il celebre etnografo e giornalista Jules Brocherel e nel secondo dopoguerra saranno il "Comité des traditions valdôtaines" e sempre più la Regione autonoma a dare quell'impulso che abbiamo visto sin dove è giunto nelle scorse ore. Commenta Rivolin sul presente della "Fiera": «Au-delà de son importance économique, elle représente, aujourd'hui plus que jamais, un moment exceptionnel de récupération, dans un climat de fête que soulignent les rites religieux et la veillée, de l'identité du peuple valdôtain, de ses racines les plus populaires, profondes et authentiques».