Ci sono libri che scovi per caso e la cui lettura diventa - anche grazie alla magia degli e-book che scarichi come se ci fosse una bacchetta magica - immediata e intensa, quando trovi elementi che fanno, come si dice in francese, un "déclic", cioè ti accendono una lampadina nella testa. Mi è capitato con un articolo di Pierluigi Battista dal "Corriere della Sera" in cui presentava un libro sommatoria di tre saggi separati, ma di fatto possono essere letti per come si intersecano. Riporto la prima parte di quanto scritto da Battista: «Ancora una volta su "Cari fanatici" di Amos Oz, pubblicato ora in Italia da "Feltrinelli", un manuale prezioso contro il fanatismo in tutte le sue forme. Una forma di fanatismo descritta da Oz è per esempio quella apparentemente di buon senso, ragionevole e blanda, che si esprime nella mistica dell'unità, nella condanna delle divergenze che ci impediscono di agire come "un sol uomo" contro il nemico, nel fastidio per il dissenso, per la critica puntigliosa, per lo spirito polemico bollato alla fine come un tradimento».
«Quante volte lo abbiamo sentito: unità prima di tutto, stringiamoci, non lasciamo spiragli all'avversario, facciamo muro, facciamo fronte comune, "voto utile", silenzio, disciplina - continua Pierluigi Battista - Ecco, spiega Oz, anche questa è una forma di fanatismo. E contro questo fanatismo light vuole rivendicare il meglio della tradizione ebraica perché "il popolo di Israele non ama obbedire" e anzi "il popolo discute incessantemente con i profeti, i profeti discutono incessantemente con Dio mentre contestualmente litigano con il popolo e con i re. Giobbe se la prende con il cielo"». Estrapolo alcune frasi, che trovo essere utili ed applicabili a tutta la politica, compresa quella valdostana: «Quella ferma convinzione di essere dalla parte del giusto che scava e si asserraglia dentro di sé, che non contempla né finestre né porte, è la cartina al tornasole di questa malattia, così come le prese di posizione che scaturiscono da pozzi cristallini di sprezzo e repulsione, che respingono qualunque altro impulso emotivo». E ancora: «Il partito, gli adepti dell'eletto, la comunità di seguaci: appartenere, unirsi a una folla immensa sotto le ampie ali di un grande padre, di un eroe fantastico, di una bellezza strepitosa, di un brillante erudito, cui gli accoliti affidano tutte le loro speranze e i loro sogni, ma anche il loro diritto di pensare, giudicare e prendere posizione». Così ne consegue: «Il seguace che si annulla viene sopraffatto da un complesso sistema di propaganda e lavaggio del cervello, un sistema che, sulle prime, si rivolge di proposito al lato infantile dell'animo umano, così ansioso di annullarsi, di rientrare in un grembo caldo, di tornare a essere una minuscola cellula dentro un corpo enorme, forte e protettivo - la nazione, la chiesa, il movimento». Ma, oltre al confronto come sale della crescita e del dialogo, c'è un elemento che io stesso ho sempre considerato capitale: «Il senso dell'umorismo esige quella piccola acrobazia che, foss'anche per un attimo, consente di vedere vecchie cose sotto una luce nuova. Ci invita a sgonfiare l'aria calda satura di inutile sussiego, di troppa autostima. Fa di più: il senso dell'umorismo comporta solitamente una certa dose di relativismo, di ridimensionamento (che a volte si innesca proprio grazie all'esagerazione). Puoi essere meraviglioso e assolutamente giusto e perfettamente candido, ma ogni tanto non guasta se spunta anche solo per un attimo un demonietto burlone e sardonico che ti fa l'occhiolino e sogghigna». Così riprende in un altro passaggio: «Al mondo ci sono religioni, movimenti ideologici e politici che spingono ognuno di noi ad annullarsi nella collettività, a rinunciare a essere delle mezze isole per diventare niente più che un minuscolo granello, una molecola dentro il corpo della nazione, della fede, del movimento e via di seguito». E infine due passaggi, il primo: «La diversità non è un male passeggero bensì una fonte di benedizione. Il fatto di non pensarla tutti nello stesso modo non è una fastidiosa debolezza ma il clima giusto per il fiorire della vita creativa. Siamo diversi gli uni dagli altri non perché alcuni di noi ancora non vedono la luce ma perché al mondo di luci ce ne sono tante, non una sola. Arti e idee, non un'arte e un'idea». Il secondo: «Non è un guaio restare in disaccordo. Si può vivere tranquillamente in una situazione aperta. Non è detto che vivere in una situazione aperta non comporti persino dei vantaggi. Il tutto a una condizione determinante: si discute senza violenza». Questa logica, che Oz ritiene una delle forze dell'ebraismo anche nella sua versione di pensiero laico oggi ben presente, credo che sia un elemento su cui pensare a fondo: l'unità non è un mostro cieco al quale si sacrificano il confronto e modi di pensare diverso. Perché la ricerca degli elementi comuni non può essere lo sterile unanimismo del silenzio del pensiero unico e la sudditanza "a chi decide".