In questi giorni, come avviene sempre d'autunno, ci sono cieli che sembrano in caso di bel tempo ancora più azzurri del solito e all'alba ed al tramonto si presentano spesso cieli molto colorati con sfumature che vanno dal rosso, all'aranciato, al rosa. Poi ovviamente, nella tavolozza dei colori, giocano le sfumature delle foglie degli alberi e la loro gamma molto varia sino a dove la montagna diventa pascolo spoglio e poi roccia dai colori non ancora mascherati dalla neve. Sono effetti che in una vallata alpina sono uno spettacolo e ci riflettevo l'altro giorno - pensando a quanto mi emozionino le mie montagne - mentre attraversavo faticosamente in auto Torino, piena di cantieri e deviazioni in percorsi nodali, ritenendomi fortunato di vivere altrove che in una grande città.
Poi per caso ho letto un accorato articolo del vicedirettore de "La Stampa", Luigi La Spina, che si chiede: «Ma che cosa sta succedendo a Torino? Dove è finita quella retorica di una città che aveva saputo allargare la sua vocazione manifatturiera al turismo e alla cultura, scoperta da turisti sorpresi e affascinati dalla sua bellezza, lanciata verso un futuro da protagonista nella competizione tra le metropoli del nuovo secolo?
Una narrazione, pubblica e privata, che, ripetuta ossessivamente dai leader di un centrosinistra che aveva governato venticinque anni, aveva finito per suonare persino troppo propagandistica e rituale per soddisfare i suoi abitanti, ma che aveva indubbiamente cambiato l'immagine di Torino agli occhi degli italiani. Perché la sindaca dei "Cinque Stelle", Chiara Appendino, accolta con indici di gradimento altissimi nei sondaggi di inizio mandato, sta scendendo vertiginosamente nelle classifiche del consenso?
Perché sulla città, delle cui sorti si discuteva appassionatamente, dentro e fuori dai suoi confini, sembra calata una cappa di silenzio e di indifferenza, rotta soltanto dalle cronache di fatti tragici e dolorosi come quelli della notte di piazza San Carlo o degli incidenti di chi contestava il "G7"?».
Segue un svolgimento - si potrebbe dire un j'accuse - mica da ridere e mi spiace che Torino stia affondando e basta pensare alla fine, di fatto, della vecchia "Fiat" con fiscalità e core business altrove, con la stessa "La Stampa" venduta al "Gruppo La Repubblica" del non molto amato dagli Agnelli Carlo De Benedetti, alle magagne del "Salone del Libro" senza soldi e parzialmente scippato dal solito Milano. E potrei continuare l'elenco.
Pensare che Torino è un pezzo di me, visto che ho cominciato a lavorare lì in radio, ci ho fatto l'Università come già mio nonno (classe 1867, laureato in Giurisprudenza nel 1890), un fratello del mio bisnonno, Antonio Caveri, fu deputato nel Parlamento subalpino dal 1948 a Palazzo Carignano e poi Senatore dal 1860 del Regno a Palazzo Madama. Ho molti amici torinesi e pure un fratello che ha uno studio d'avvocato. Ci vado spesso perché trovo che corrisponda ad un mio côté subalpino che non mi spiace affatto, dalla cultura alla buona cucina. Anche se - lo ripeto - non vivrei nella città caotica e peggiorata, dopo una crescita in positivo seguita alle "Olimpiadi" del 2006, che pure hanno lasciato conti in rosso e opere inutili.
Le altre due grandi città della mia vita per il lavoro sono state due Capitali. E' stato molto lungo il mio pendolarismo con Roma: uno straordinario gioiello in molte sue parti, una dolente suburra nelle sue periferie. Quando mi capita di andarci registro - Raggi o non Raggi - un degrado continuo che addolora, pensando alle sue potenzialità ed alle attrattive uniche, che sprofondano sempre più nel grigiore di un'assenza di qualunque progettualità.
L'altra città a lungo frequentata è stata Bruxelles, che amo molto e trovo che, pur con qualche ombra, abbia una dimensione europea che amo e che supera le divisioni profonde delle due anime - fiamminga e vallone - del Belgio.
Poi la città che ha segnato molto della mia vita privata, amori compresi in certi passaggi cruciali: Parigi. Credo che ci siano talmente tanti ricordi che si affollano da stentare a trovare una su sintesi. Una città che chiude una sorta di quadrato delle città d'affezione, ma il cuore, quello resta sempre in Valle.