Ci sono temi forse troppo ricorrenti in questo mio scrivere, eppure non può che essere così, quando mi rendo conto che ci sono argomenti che pesano sul mondo che verrà. Mi capita talvolta, ma non vi è nulla di dolente anzi è una cosa che scalda il mio cuore, di pensare a come sarà la vita dei miei tre figli e dei miei nipoti quando nasceranno e poi ancora dopo di loro. E, pur sperando di poter vivere un certo cammino per vedere come andranno le cose, so che da un certo periodo in poi bisogna vivere di immaginazioni. Anche se in certi casi può aiutare quella parte scientifica della futurologia, che non è la fantascienza, anche se poi molti scrittori di questo genere letterario ci hanno preso! Credo che sia sempre stato così: sarebbe sprecare la nostra esistenza se la la tarassimo solo su di noi. Mi ha sempre fatto impressione questa logica del mondo contadino - anche da parte di chi ha un'età ormai veneranda - di mettere a dimora delle piante che si sa saranno godute da altri.
Così la mia crescente preoccupazione per certe bizzarrie feroci del clima, che colpiscono diverse parti del mondo e attentano alla vita umana, che sia il dramma di un nubifragio a Livorno o la tragedia immensa degli uragani caraibici, ma anche pericoli evidenti sulle Alpi, dove di recente una montagna è crollata in Val Bragaglia su di una vallata fra Italia e Svizzera o il paesino elvetico nella a noi vicina vallata di Saas evacuato giorni fa per il crollo di un ghiacciaio. Mi capita spesso di discutere con amici che negano la famosa componente umana nei cambiamenti climatici in corso: anche se sono largamente antiscientifiche le loro tesi possono avere qualche elemento convincente. Citano in certi casi il lungo lavorio della Natura in una realtà montana come la Valle d'Aosta e l'andare e venire di periodi caldi e freddi, con l'allungarsi e l'arretrarsi dei ghiacciai e con gli uomini, da quando la Valle è popolata, che hanno seguito questi ritmi del clima e hanno subito periodiche ma sempre attestate sciagure naturali con con cui hanno dovuto convivere, non potendo fare altrimenti. Leggevo poco tempo fa una sintesi del vasto studio sul cambiamento climatico, che contraddice appunto le teorie dei negazionisti, e che fa parte del "National climate assessment", richiesto dal Congresso americano ogni quattro anni, e condotto da scienziati appartenenti a tredici agenzie federali. Ovviamente Donald Trump, Presidente americano negazionista, non gradirà questi passaggi: «Le prove del cambiamento climatico sono abbondanti, dall'alto dell'atmosfera alla profondità degli oceani», si legge nella bozza. «Ci sono evidenze che dimostrano come le attività umane, specialmente le emissioni di gas serra, sono le principali responsabili per i cambiamenti climatici rilevati nell'era industriale. Non ci sono altre spiegazioni alternative, non si tratta di cicli naturali che possano spiegare questi cambiamenti climatici», si legge nello studio. Secondo la ricerca, dal 1880 al 2015 le temperature sono aumentate di 1,6 gradi Fahrenheit e l'innalzamento delle temperature sarebbe dovuto proprio all'azione dell'uomo. Naturalmente le affermazioni sono supportati a tutto quanto è necessario dal punto di vista scientifico e ne capisco più il succo che i passaggi più complicati. Ma, in un mondo oscurato da superstizioni degne di epoche passate, io mi fido ancora degli scienziati e del loro lavoro con buona pace dei complottisti che negano qualunque evidenza e creano vere e proprie sette che autoalimentano le loro credenze e sospettano di chiunque si azzardi a smontarle. Io osservo laicamente che il cambiamento climatico va preso sul serio e in una logica davvero federalista: dai comportamenti personali a quelli familiari, dalle piccole alle grandi comunità, dalle Regioni ai Paesi, dalle Nazioni ai Continenti ci vogliono scelte che non siano solo contenute nei giusti documenti di respiro mondiale, ma in azioni concrete che latitano, invocate poi all'ombra lunga e dolente di ogni sciagura.