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10 ago 2017

Una Valle d'Aosta senza reti?

di Luciano Caveri

La solitudine politica non è uno stato d'animo, anche se potrebbe essere suggestivo immaginarsi in un angolo a riflettere sui destini dell'umanità con una pensosa postura romantica guardando l'orizzonte dalla cima di un monte, ma è molto più prosaicamente la mancanza di rapporti in rete. "Rete" è un termine ormai molto praticato, e che si presta ad un uso plurimo, per cui preciso che nella dizione che propongo è quella di un insieme, un intreccio articolato e organizzato che consenta di avere contatti stabili e proficui con altri. Possono essere reti di amicizia, di collaborazione, di confronto. Il "caso Valle d'Aosta" è significativo in questo senso.

Comunità piccola, in grande trasformazione culturale e sociale, questa nostra Valle è spesso molto assorbita da legittime dispute interne, ma bisogna evitare a qualunque costo che questo porti - come temo sia avvenuto - alla chiusura di canali comunicativi "fuori", che ci hanno reso più forti nel tempo di quanto potesse derivare dalla nostra piccola taglia. Vedo infatti svaporare lentamente ma inesorabilmente quei rapporti politici che rendevano più solida la nostra situazione non solo consentendoci confronti utili per crescere, ma anche l'inserimento in reti che evitassero quella solitudine politica evocata all'inizio. Come se, in sostanza, ci illudessimo di "bastarci". Quali Reti? Siamo stati per molto tempo portatori di un regionalismo spinto fino ad un'area federalista coltivata nel tempo e questo ci poneva come soggetti interessanti in Italia e in Europa. Questo valeva in particolare rispetto alle Autonomie speciali, ben chiare nei rapporti - fondate sui principi analoghi di rango costituzionale - con le altre Autonomie differenziate (Sicilia, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia e le Province autonome di Trento e Bolzano/Bozen). Ma questo cerchio si era nel tempo allargato a molte altre Regioni europee dotate di una forte Autonomia, pur secondo i rispettivi ordinamenti. Una Rete che era ancora più specifica rispetto alle minoranze linguistiche e nazionali che costellano il Vecchio Continente, da cui trarre - nel dialogo - esperienze utili per fare sistema e per scambiarsi quelle che a livello comunitario si definiscono "buone pratiche". Poi abbiamo sempre fatto parte di una Rete che riguardava le Montagne e la loro dimensione non solo europea, perché questa è una vocazione naturale, che alimenta politica e amministrazione, facendo dei valdostani - per molti anni - capofila di iniziative forti sulla tutela e lo sviluppo dei territori e delle popolazioni di montagna. In questo senso la Valle ha sempre lavorato nelle istanze legate alle Alpi, che fosse la discussa "Convenzione Alpina" e la sua applicazione concreta o la macroregione alpina come strategia dell'Unione europea. Ma esiste anche un'altra grande opportunità, che sembra impallidire anch'essa nel tempo, ed è la Rete, ricca di opportunità, della francofonia internazionale, che non riguarda solo i necessari rapporti politici con la Francia, ma con i Paesi nei diversi Continenti che adoperano il francese, ma posso testimoniare come non sia solo un problema linguistico, ma sia una chiave che apre porte a collaborazioni economiche e culturali. Altrettanto in crisi è la prossimità politica, quella che oggi si chiama cooperazione territoriale, che sia in chiave Oltralpe, quindi i Cantoni svizzeri, in primis il Vallese, o le Regioni francesi, anzitutto i Dipartimenti della Savoia. Ma anche - ormai sul binario morto - quella realtà, allargata a Regioni francesi (oggi Auvergne-Rhône-Alpes e Provence-Alpes-Côte d'Azur) e italiane (Piemonte e Liguria), che si chiama "AlpMed". Sarebbe tragico se, assorbite da querelles e beghe di Palazzo (ripeto: legittime, perché anch'esse espressione della Politica) si finisse per trascurare questo insieme di "autour de nous", che evita il rischio di contemplare solo il nostro giardino (anche se vale sempre il ricco programma di Voltaire in "Candide": «Il faut cultiver notre jardin») o peggio ancora di guardare solo al nostro ombelico non avendo la capacità di guardare oltre ai nostri confini. Naturalmente questo è possibile solo se chi si occupa della cosa pubblica su certi temi non si trovi infine come un Generale senza truppe e questo significa che certi filoni da seguire - per rafforzare la Valle d'Aosta - vanno considerati patrimonio comune. Ed una delle condizioni indispensabili è che certe Reti siano appannaggio non solo dei politici, ma agli addetti ai lavori dei singoli settori e soprattutto ai giovani che devono prendere la relève, dando respiro a questa presenza valdostana al di là del nostro territorio. Che dev'essere, per aver valore, un idem sentire della popolazione.