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05 ago 2017

La forza della Bellezza

di Luciano Caveri

E' con il suo spirito acuto, giocando con i sinonimi, che Umberto Eco così osservava: «E' ritenuto bello ciò che è carino, piacevole, attraente, gradevole, avvenente, delizioso, armonico, meraviglioso, delicato, grazioso, leggiadro, incantevole, magnifico, stupendo, affascinante, eccelso, eccezionale, favoloso, fiabesco, fantastico, magico, mirabile, pregevole, spettacolare, splendido, sublime, superbo». Questa storia della bellezza non è cosa di poco conto, se applicata al posto dove abitiamo. Mi è capitato negli anni di visitare luoghi meravigliosi in giro per il mondo e di trovarli tempo dopo irrimediabilmente rovinati perché imbruttiti in vario modo. Oppure ho visitato zone dove si affiancavano zone dove la bellezza dominava a fianco a località deturpate senza pietà con un contrasto eclatante.

Trovo, dunque, che sulla "Bellezza" (uso solo questa volta la maiuscola) si giochi una partita mica da ridere nella tutela della dignità del nostro patrimonio paesistico. "Paesaggio" transita in italiano dal francese "paysage", che deriva da "paese", che è definizione onnicomprensiva che va da "territorio abitato e coltivato" a "Nazione", "Patria", ma vuol dire anche "località", "villaggio". Insomma, come una matrioska, va dal piccolo sino al grande e questo, più di altro, dà il senso di come lo si possa applicare a diversi livelli. Così come è utilizzabile il vario modo questo concetto di bellezza. Ogni volta che vado da qualche parte, che sia sotto casa o chissà dove, mi accorgo di come applichi - come schema mentale - una sorta di filtro interpretativo, che mi porta ad osservare i luoghi e l'incidenza positiva o negativa della presenza umana. Ho nella memoria angoli disordinati pieni di cose inutili che creano bruttura, analoghi fenomeni nella sciatteria di costruzioni abbandonate o mal intrattenute, per non dire di straordinarie opere d'arte neglette. Vedo rifiuti ostentati, boschi inselvatichiti, colori assurdi sulle case, capannoni come mostri in muratura, segni indelebili di maleducazione nelle scritte murali, nelle recinzioni rotte, nella manutenzione inesistente di certe opere pubbliche. Non lo dico per moralismo becero o per un astratto senso estetico, ma perché per vivere i luoghi bisogna rispettarli e non pensare che esista solo la mano pubblica destinata alla loro tutela. Esiste anche una responsabilità personale, familiare, di vicinato, di comunità. E trovo che questa tutela del territorio e del paesaggio si debba costruire, giorno per giorno, nelle grandi e nelle piccole cose per raggiungere un ragione gradiente nella bellezza, che è poi quella lunga serie di aggettivi che Eco proponeva con la frase che ho messo all'inizio. Esiste in questo il senso profondo dell'amor proprio e del senso civico, che può essere - per chi è sensibile al tema - coincidere anche con la necessità di salvaguardare l'identità attraverso una guardiania di certi valori, che sono espressivi come elemento culturale di qualunque civiltà. Chi se ne frega e gioca alla distruzione piccola o grande è davvero indegno. Questo non vuol dire affatto che ogni generazione debba avere atteggiamenti passivi e considerare la Natura e i frutti precedenti della Cultura come intoccabili. Fosse per me farei saltare con l'esplosivo certe realizzazioni e non ho paura dell'impiego della modernità anche più ardita, ma sempre e solo sotto il segno della Bellezza, che vuol dire anche avere capacità innovative. Ma vale un detto di Joseph Joubert: «Nous avons reçu le monde comme un héritage qu'il n'est permis à aucun de nous de détériorer, mais que chaque génération au contraire est obligée de laisser meilleur à la postérité». Ciò non significa - ripeto - immobilismo, ma buonsenso ed amore.