Mi è capitato, nel corso di una serie sui "Mestieri e Professioni", di invitare in radio degli editori, mestiere nobile e antico, che deve fare i conti con la rivoluzione digitale, originata dalle trasformazioni di quella che potremmo definire, come da intuizione del sociologo Marshall McLuhan, la "galassia Gutenberg", dal nome del tipografo tedesco quattrocentesco che inventò la stampa a caratteri mobili. La data per la loro presenza non era per nulla casuale in vista del "Salone del Libro" di Torino, che si tiene come sempre al "Lingotto", con una manifestazione monstre che ho visitato molte volte negli anni, soffrendo talvolta del pigia pigia della folla fra gli stand, che stupisce sempre se comparata al numero non elevatissimo dei lettori di libri in Italia.
Segnalo incidentalmente che accarezzai in passato, anche grazie a delle conoscenze, di fare di questo Salone un'importante appendice valdostana con un decentramento territoriale stimolante, ma le richieste economiche mi parvero all'epoca francamente esose e non se ne fece nulla. L'edizione di quest'anno ha una particolare attesa, perché - come noto - a fine aprile nei padiglioni della "Fiera di Milano" si è tenuta la prima edizione di "Tempo di libri", sotto lìegida dei grandi editori che hanno "tradito" Torino, rompendo anche quel mito di "MiTo" - scusate il gioco di parole - cioè di quell'entente che si riconosce nell'acronimo fra Milano e Torino, sorelle invece acidine fra loro quando si tratta di essere più concorrenti che collaborative, ed è una vecchia storia nello scorrere dei secoli, per cui non ci si deve stupire. I piemontesi, da buoni sabaudi, hanno incassato lo sgarbo ed hanno raccolto attorno a sé miriadi di piccoli editori contro l'ammiraglia milanese, segnale anche di un fatto ben noto: la concentrazione in pochi mani dell'editoria italiana, così temuta da un gros bonnet della cultura italiana come Umberto Eco che lasciò - fra gli ultimi atti della sua vita - la scelta di dar vita ad un piccola casa editrice, chiamata non a caso "La Nave di Teseo", nuova casa editrice "indipendente". Infatti Teseo, leggendario re di Atene, ha originato un celebre paradosso metafisico: ritenendola un simbolo importante, col passare del tempo gli ateniesi sostituivano pezzo dopo pezzo l'imbarcazione di Teseo per mantenerla sempre integra. Ma quando non è rimasto neanche un componente originale, possiamo dire che la nave è stata effettivamente conservata oppure è qualcosa di totalmente nuovo? Domanda per nulla banale, se pensiamo di applicarla alla nostra vita. Sono sempre stato un sostenitore dei libri e della loro importanza, anche se dove abito ora non ho certi spazi che avevo in passato e spero di poter rimediare al più presto. Perché, anche se ormai quasi tutto si trova sul Web, avere dei libri è un piacere fisico, tattile e odoroso, con lo stupore che il libro ti aspetta, resta lì a tua disposizione. Lasci certi personaggi e poi te li ritrovi fra le mani, come mai nessun prodigio digitale potrà mai farti provare. Sulla mania del possesso dei libri proprio lo stesso Eco annotò un passaggio spassoso: «Naturalmente il bibliofilo, anche chi colleziona libri contemporanei, è esposto all'insidia dell'imbecille che ti entra in casa, vede tutti quegli scaffali, e pronuncia: "Quanti libri! Li ha letti tutti?" L'esperienza quotidiana ci dice che questa domanda viene fatta anche da persone dal quoziente intellettivo più che soddisfacente. Di fronte a questo oltraggio esistono, a mia scienza, tre risposte standard. La prima blocca il visitatore e interrompe ogni rapporto, ed è: "Non ne ho letto nessuno, altrimenti perché li terrei qui?". Essa però gratifica l'importuno solleticando il suo senso di superiorità e non vedo perché si debba rendergli questo favore. La seconda risposta piomba l'importuno in uno stato d'inferiorità, e suona: "Di più, signore, molti di più!". La terza è una variazione della seconda e la uso quando voglio che il visitatore cada in preda a doloroso stupore. "No", gli dico, "quelli che ho già letto li tengo all'università, questi sono quelli che debbo leggere entro la settimana prossima". Visto che la mia biblioteca conta cinquantamila volumi, l'infelice cerca soltanto di anticipare il momento del commiato, adducendo improvvisi impegni». Naturalmente, tornando all'inizio, gli editori valdostani hanno fatto in questi decenni lavori enormi, rispetto alla minuta taglia valdostana, certo assecondati da Mamma Regione, che comprava abbastanza a scatola chiusa produzioni locali. Oggi il vento è cambiato e gli editori devono provare la rude difficoltà, sempre più guardando a spazi esterni, della concorrenza nuda e cruda con un bacino d'utenza valdostano che non consente grandi numeri. Mi pare però che queste vacche magre abbiano generato riduzioni di quantità, ma aumento della qualità. Certo gli editori valdostani sono dispiaciuti della scelta politica, di cui mi sfuggono le ragioni, per cui lo stand valdostano a Torino abbia cessato di vendere - e ciò avveniva in passato con accordi commerciali - i libri pubblicati dal mondo valdostano dell'editoria. Era un vetrina importante, che dava lustro, e portava anche dei quattrini.