Un anno fa moriva Marco Pannella, personalità della politica italiana che avevo molto ammirato da ragazzo e che poi ho avuto la fortuna di conoscere a Roma e poi a Bruxelles. Era una specie di gigante sorridente, con una dialettica fuori dal comune, e una voglia di vivere senza schemi, nuotando senza paure controcorrente come sfida perenne e divertita. Ho già raccontato di come si sentisse - per via della nonna vallesana, che lo aveva cresciuto con un francese impeccabile - un pochino alpino, anche se la sua montagna di teramano era il Gran Sasso. Mi chiedeva spesso delle "nostre" montagne sotto il Gran San Bernardo. Essendomi più volte iscritto al Partito Radicale, perché condividevo certe battaglie per i diritti civili, che sono il sale della democrazia, mi considerava un interlocutore amichevole e non a caso - ogni volta che mi candidai - mi fece avere il suo appoggio, come ben sapeva il radicale valdostano di origine unionista Marino Pasquettaz.
Marco era un combattente e lo è stato anche con la malattia, sfidata con il suo fare guascone e l'eterna sigaretta fra le mani. Mancano tanto alla politica italiana la sua spregiudicatezza e la sua passione per le tante libertà di cui sapeva essere interprete, ma mancano anche la memoria storica di un pezzo di federalismo italiano e quel suo spirito ironico e senza steccati in una società italiana conformista e chiusa, pure triste. E lui - difensore anche dell'ultimo dei detenuti - odiava i muri e le sbarre, infilandosi in battaglie impossibili nell'Italia del Vaticano, come divorzio, aborto, eutanasia e altro ancora. A me capitava spesso di ascoltarlo, come mi era capitato in tante occasioni di ammirarlo dal vivo con la sua loquela elegante e intrigante, attraverso i microfoni di "Radio Radicale", specie nei suoi irresistibili duetti con Massimo Bordin in cui con question-réponse battibeccavano come due vecchie zie, ma centrando con lucidità i temi più attuali, svelando tante ipocrisie e retroscena della politica italiana. Politica che a Marco, europeista fino al midollo, ed internazionalista senza paura, andava persino stretta, perché non era solo un uomo di mondo ma del mondo. Queste sue caratteristiche rare oggi mancano e l'oblio che caratterizza tempi senza memoria rischia di non dare il giusto lustro a quel ruolo che già in vita non gli venne riconosciuto. Avrebbe meritato quel titolo, che io stesso caldeggiai nel mio piccolo, di Senatore a vita, che sarebbe stato un giusto riconoscimento. Ma i tanti nemici nell'ombra non lo permisero, ma spero che la storia del Novecento ricordi questo gigante buono della politica con i suoi occhi chiari e le manone da pacca sulla spalla con il suo modo beffardo di inseguire la vita, che ha lasciato nel maggio di un anno fa.