Ogni tanto ci si chiede dove sia l'essenza dell'Autonomia speciale della Valle d'Aosta ed ognuno è legittimamente libero di cercare la propria motivazione. Io trovo da sempre che - nel linguaggio secco delle norme giuridiche d'antan - il decreto luogotenenziale del 1945 si esprima in maniera chiara e senza troppi fronzoli retorici da preambolo. Così dice: "La Valle d'Aosta, in considerazione delle sue condizioni geografiche, economiche e linguistiche del tutto particolari, è costituita in circoscrizione autonoma con capoluogo in Aosta". Siamo veramente alle origini dell'attuale ordinamento statutario ed il rango costituzionale del nostro Statuto è stato croce e delizia.
"Croce" perché i cambiamenti sono complessi, lunghi e in certi contesti pure rischiosi senza l'intesa a protezione (io come deputato ho portato a casa importanti modifiche, seguendole passo a passo), ma anche "Delizia" perché questa rigidità ha evitato in certi frangenti la soppressione repentina di norme fondamentali. Anche se poi - pensiamo al via vai delle norme finanziarie o certi periodi di sottrazioni strumentali di poteri e competenze - lo Stato ha sempre trovato certe strade per aggirare determinate barriere giuridiche. Spesso, per fortuna, a fare da diga sono stati i veri giudici delle leggi e cioè la Corte Costituzionale e scorrere le sentenze nella loro evoluzione cronologica ci dice molto delle stratificazioni nel corso della storia della Repubblica del pendolo fra regionalismo e centralismo. Scrivevo ieri sul sito di "Mouv'", che mostra per fortuna una certa effervescenza di contenuti, come l'Autonomia speciale sia una creatura politica forgiata dai meccanismi del diritto costituzionale e a questi dobbiamo attenerci, perché si tratta di un ancora di salvataggio. Per questo mi sono permesso, con il rispetto dovuto, di osservare sulla recente disputata sul numero legale in Consiglio Valle di come sia stato sbagliato affidare ai giudici amministrativi questa patata bollente, legata al recente cambio di Giunta regionale sul filo di pochi voti. Una vicenda sbagliata sin dal l'avvio con la scelta di una parte della vecchia maggioranza di una sorta di Aventino per far saltare le sedute consiliari, sperando di restare in sella, in assenza dall'altra parte di qualunque mediazione politica sui tempi dei lavori del Consiglio Valle nel nome di pareri legali e per sfruttare, direi legittimamente, l'attimo fuggente. Con la conseguenza di far decidere infine il "Tar" su di un punto che finisce per essere anche di principio, dunque al di là della questione se avessero ragione quelli in aula o quelli fuori. E poi naturalmente era giusta e ineluttabile la caduta della Giunta Rollandin ed era bene che nuova Giunta e la rinnovata maggioranza fossero in grado di lavorare con tranquillità. Ma - ecco un punto chiave - può una legge ordinaria incidere su di una norma statutaria, tutelata da una legge di rango costituzionale? I giudici del "Tar" di Aosta, con un "no" alla sospensiva, direi per evitare un caos istituzionale, hanno usato - di fatto anticipando il merito rimandato formalmente a settembre - un vecchio strumento, che dovrebbe dispiacere ad autonomisti ovunque dispersi. Si tratta del "principio di riforma nazionale", che fa storcere il naso, perché il suo uso crea sempre inquietudini sulla tenuta della legge fondamentale per i valdostani, lo Statuto speciale, che viene esposto così a certe certe formule che lo espongono alla mercé della legislazione ordinaria dello Stato. Lo Statuto di conseguenza rischia di trasformarsi - e già per alcune parti in passato è avvenuto - in uno strumento depotenziato. Per cui, quando nascono dispute politiche che finiscono in mano ai giudici, bisogna sempre pensare se e come possano diventare un'arma a doppio taglio, cioè qualcosa che può portare vantaggi ma anche conseguenze negative. Tuttavia è interessante e utile per rifletterci il passaggio dell'ordinanza del "Tar" che riguarda, come spiraglio, la possibilità per la Regione di normare in qualche modo circostanze di questo genere: a mio avviso la via maestra sarebbe stata, facendolo per tempo, una norma di attuazione dello Statuto per coordinare la "legge Severino" e lo Statuto ed è bene muoversi in questo senso, tenendo conto del carattere condiviso della procedura. Le norme d'attuazione, bloccate ormai da anni nella loro emanazione, sono un esempio di un terreno di confronto fra tutti. Questo non vuol dire consociativismo o fare l'occhiolino a destra o a manca, ma semplicemente che ci sono questioni di livello così elevato che prevedono che - rubando una definizione di Blaise Pascal - ci sia un "esprit de finesse", che dia calore alle norme giuridiche dell'Autonomia, mettendoci quella necessaria coloritura fatta di sentimenti e di emozioni, che obbligano alla ricerca di punti di contatto - nella correttezza del confronto, che non è fatto solo di scontri - anche fra chi ha visioni diverse e soluzioni differenti. Ma ci sono temi su cui la ricerca dell'idem sentire non è un esercizio doroteo (corrente centrista della vecchia Democrazia Cristiana che si riunì nel 1959 per la prima volta nel convento di Santa Dorotea a Roma), cioè non avviene nella ricerca bizantina di un accordo che nasconde invece una logica continuista e immota da gattopardismo, ma c'è invece una ricerca sincera del comune denominatore per progredire.