Sono in queste ore a Parigi, città che non ha bisogno di presentazioni e che ha scandito tracce memorabili della mia vita. Questa volta è una specie di "mordi e fuggi" pasquale, profittando di quella nuova abitudine di prenotare con mesi d'anticipo - quando le tariffe sono molto basse - uno dei quei benedetti voli "low cost", che hanno accorciato le distanze e ci hanno pure obbligati - ed è comunque esercizio virtuoso anche per chi come me si è sempre fatto la valigia - a bagagli a mano minimalisti per non pagare penali salate. Fa impressione pensare che ci sono state alcune persone che si sono dette stupite del fatto che ci andassi, perché spaventate dalle vicende di terrorismo che nella Capitale francese, come in altre città europee (l'Italia per ora l’ha scampata), sono state causate dall'estremismo islamista.
Trovo che muoversi sia, da questo punto di vista, un dovere civico, che non ha nulla di eroico, naturalmente, ma sancisce il fatto che non bisogna starci alle intimidazioni di cui siamo vittime. Ha scritto Zygmunt Bauman: «Convivremo comunque abbastanza decentemente anche con il terrorismo, perché, siccome l'angoscia è costitutiva della nostra struttura psichica, basterà trasferirla dal piano psichico a quello "presunto reale". Quindi non più angoscia del futuro, della mancanza di lavoro, dell'amore che non c'è, dei figli che chissà come crescono, ma angoscia del terrorismo. Un evento esterno ai nostri angoscianti vissuti psichici. Qualcosa di preciso che fa pulizia dei fantasmi della nostra mente». Fantasmi che, nel caso del terrorismo fondamentalista, sono purtroppo in carne ed ossa e almeno la prudenza diventa un obbligo ed è la ragione per la quale - se guardate un mappamondo o le allerta della Farnesina - vi accorgerete di come, per una storia o un'altra, il mondo abbia finito per accorciarsi per evitare certe insidie più o meno grandi. Questo divieto, che sia ufficiale o derivi dal nostro buonsenso, mi colpisce profondamente. Penso di viaggiare abbastanza, ma invidio profondamente chi può farlo di più e visitando diverse parti del mondo. Il viaggio è davvero un antidoto contro i rischi di grettezza e di chiusura, un modo per vedere cose nuove, confrontarsi con persone diverse, investigare culture differenti. Penso che per realtà piccole come la Valle d’Aosta, per non sprofondare in compiacimenti o autocelebrazioni, ci sia bisogno davvero di confrontarci e in fondo di soppesarci nel rapporto con l'altro da noi. Questo dico sempre e mi pare che i giovani valdostani siamo assai globalizzati, ma sapendo - ciascuno nel proprio modo - guardarsi intorno senza complessi ma anche senza certa supponenza talvolta frutto proprio di meccanismi di conservazione. Mentre il progresso, che è cambiamento senza tradire il pregresso, avanza anche con elementi di stimolo come la necessità di saper ricopiare, adattandolo, quanto di buono c'è in giro. Ciò vuol dire anche sapere essere portavoce del nostro modo di essere e di vivere: quello zaino pieno di cose che derivano dalla vita in un piccolo angolo delle Alpi. Nel mio piccolo, mi è capitato dovunque sia stato, di fare l'"ambasciatore" nel raccontare di noi e di quello che siamo e anche delle nostre speranze per il futuro, che è poi ritagliarsi uno spazio che va ovviamente comparato alla nostra taglia. Penso di avere già ricordato dell'Ambasciatore cinese in Svizzera in visita nel Cantone del Jura, la più recente Repubblica nata nella Confederazione a tutela di una zona francofona di soli settantamila abitanti, che era prima una parte del Cantone a grande maggioranza germanofono di Berna e ottenne l'autodeterminazione nel 1979. Durante l'incontro ufficiale, venne chiesto al diplomatico cinese quale fosse l'interesse di un Paese enorme e popoloso come la Cina di visitare un Stato piccolo come il Jura (segnalo che è un quarto del territorio valdostano!) e con un pugno di abitanti, specie se comparato al miliardo e trecento milioni di cinesi! L'Ambasciatore usò una metafora poetica: «Ogni uccello, anche il più piccolo, è un essere compiuto, malgrado le sue dimensioni, come avviene per gli altri uccelli ben più grandi di lui». Il colibrì come un gigantesco albatros o una nostra aquila: bella immagine!