Fra i grandi rovelli della filosofia, vista dall'angolatura di quando si era studenti, esisteva il principio del "tertium non datur" (tradotto dal latino suona come "non è ammessa una terza possibilità"). Questa espressione risale alla logica aristotelico-scolastica e significa che, in un'alternativa di due giudizi contraddittori, o di due ipotesi contrapposte, o in generale tra una affermazione e la sua negazione, è esclusa ogni altra possibilità o soluzione. In età giovanile questa importante rappresentazione si scontrava - studiando ad Aosta - con il celebre slogan del digestivo della "Ottoz" allora in voga, che suonava esattamente, con evidente maschilismo: «Bionda, bruna o rossa Ebo Lebo è la prima mossa». Qui veniva, a confonderci, questa scelta triangolare, che ci obbligava a tenere presente i Teoremi di Euclide, la cui semplice evocazione ancora mi spaventa.
Ma a tornare seri ci pensava sempre la filosofia e sulla scelta come problema non si può non riferirsi al pensoso filosofo danese Søren Kierkegaard: «Esistere significa "poter scegliere"; anzi, essere possibilità. Ma ciò non costituisce la ricchezza, bensì la miseria dell'uomo. La sua libertà di scelta non rappresenta la sua grandezza, ma il suo permanente dramma. Infatti egli si trova sempre di fronte all'alternativa di una "possibilità che sì" e di una "possibilità che no" senza possedere alcun criterio di scelta. E brancola nel buio, in una posizione instabile, nella permanente indecisione, senza riuscire ad orientare la propria vita, intenzionalmente, in un senso o nell'altro». Ma la mia generazione poteva essere confortata da Giorgio Gaber e da una sua canzone altrettanto pensosa: «Una brutta giornata, chiuso in casa a pensare, una vita sprecata, non c'è niente da fare, non c'è via di scampo, mah, quasi quasi mi faccio uno shampoo. Uno shampoo? Una strana giornata, non si muove una foglia, ho la testa ovattata, non ho neanche una voglia, non c'è via di scampo, devo farmi per forza uno shampoo». Ma la canzonetta veniva presto zittita da una poesia sul dubbio della poetessa polacca Wislawa Szymborska.
"C'è chi" «C'è chi meglio degli altri realizza la sua vita. E' tutto in ordine dentro e attorno a lui. Per ogni cosa ha metodi e risposte. E' lesto a indovinare il chi il come il dove e a quale scopo. Appone il timbro a verità assolute, getta i fatti superflui nel tritadocumenti, e le persone ignote dentro appositi schedari. Pensa quel tanto che serve, non un attimo in più, perché dietro quell'attimo sta in agguato il dubbio. E quando è licenziato dalla vita, lascia la postazione dalla porta prescritta. A volte un poi lo invidio
- per fortuna mi passa».
E ci soccorre pure Luciano De Crescenzo e il suo spirito partenopeo: «Il Punto Interrogativo è il simbolo del Bene, così come quello Esclamativo è il simbolo del Male. Quando sulla strada vi imbattete nei Punti Interrogativi, nei sacerdoti del Dubbio positivo, allora andate sicuro che sono tutte brave persone, quasi sempre tolleranti, disponibili e democratiche. Quando invece incontrate i Punti Esclamativi, i paladini delle Grandi Certezze, i puri dalla Fede incrollabile, allora mettevi paura perché la Fede molto spesso si trasforma in violenza». Insomma, tutto questo per dire che, in vista della Pasqua, come fare a scegliere fra colomba, specie se farcita, e uovo di cioccolato, specie se con sorpresa?