Sarebbe un bel passaggio per l'Unione europea se la Scozia diventasse indipendente. Certo questo risultato varrebbe di più per un'"altra Europa", perché quella attuale - mi riferisco a suoi importanti esponenti imbevuti di vecchie logiche Stato-nazionali - sul primo referendum sull'indipendenza giocarono sporco, annunciando sfracelli. Ora dovrebbero fare autocritica, perché la bandiera scozzese, dopo la "Brexit", resta una straordinaria eccezione al «no» secco all'integrazione europea registrato nel voto maggioritario nel Regno Unito. Non sono mai stato in Scozia ed è fra le cose che mi riprometto di fare nel 2017.
Ma dal punto di vista politico ho frequentato spesso in Europa i nazionalisti scozzesi e ho sempre pensato che non ci fosse nulla di passatista nella loro voglia di libertà. E che il patriottismo scozzese, imbevuto di storia e di cultura, non ha nulla da spartire con certo nazionalismo giocobino, fatto di tinte fosche che hanno in passato avvelenato l'aria nel Vecchio Continente e hanno generato svolte dittatoriale e guerre. Ieri, sul "Corriere della Sera", il corrispondente da Londra, Luigi Ippolito, ha scritto un articolo frizzante sulla Scozia, il cui inizio è bellissimo: «Gli inglesi hanno il pudding, gli scozzesi lo haggis: e questo dice tutto. Solo nelle Highlands sono in grado di digerire un pasticcio fatto di stomaco di pecora e riempito di interiora. Ma adesso neanche loro sembrano capaci di mandare giù la Brexit. Quella segnata dal vallo di Adriano è una divisione che attraversa la storia, la cultura, la religione. Nelle brughiere settentrionali le legioni romane non osarono mai avventurarsi: gli scozzesi sono rimasti un popolo celtico, a Sud sono stati prima latinizzati (chi ha fondato Londinium?) e poi invasi da anglosassoni e normanni. La diversità scozzese si nutre di tanto folklore: sono gli unici omaccioni che nelle occasioni formali vanno in giro con la gonna (il kilt) e fanno festa soffiando nelle cornamuse. Per non parlare delle leggendarie bevute di whisky, qui distillato in gran copia». Prosegue, in un secondo passaggio, con lo stesso tono: «E' una diversità scritta nel sangue e raccontata dalle epopee cinematografiche. A partire da Braveheart, ossia William Wallace, l'eroe nazionale che sconfisse gli inglesi in campo aperto alla fine del Duecento per finire poi torturato e giustiziato: un condottiero che per noi ha il volto di Mel Gibson. Mentre ha il volto di Katharine Hepburn Maria Stuarda, regina di Scozia: la sfortunata sovrana che nel Cinquecento tentò un'inutile restaurazione cattolica e terminò i sui giorni imprigionata e poi decapitata per volere di Elisabetta I. Ma il personaggio forse più celebre, tra fantasia e realtà, è James Bond: che contrariamente a quanto si possa pensare, non ha una goccia di sangue inglese. La spia di Ian Fleming è infatti di padre scozzese e di madre franco-svizzera. E il suo interprete per eccellenza non poteva che essere lo scozzesissimo Sean Connery (strenuo sostenitore, tra l'altro, dell'indipendenza). Anche l'ultimo 007, quello con Daniel Craig, ha il suo redde rationem nell'avito castello scozzese, Skyfall. E scozzesi sono le giacche che vediamo spesso indossate da Sean Connery: il ruvido Harris tweed viene lavorato a mano nelle isole Ebridi. Come dalle Highlands proviene il miglior cachemire e la lana Shetland». Mi sento già lì: a vivere dal vivo queste atmosfere straordinarie. Certo rispetto al referendum del 2014 molto è cambiato: allora vinsero i contrari, anche perché da Londra si disse che più autonomia sarebbe stata data in qualunque caso. Sembrava che i nazionalisti scozzesi dovessero finire nel dimenticatoio e invece la loro sorte elettorale si dimostrò positiva e l'uscita dalla Unione europea ha ridato slancio agli indipendentisti. Questa volta, in un scenario molto diverso, l'esito delle urne potrebbe cambiare e dare la stura a iniziative analoghe nell'Irlanda del Nord e in Galles. Per non dire di altre rivendicazioni indipendentistiche, come quelle dei catalani e baschi in Spagna o dei fiamminghi (e dunque dei valloni) in Belgio. Ma altri potrebbero mettersi in fila per seguire questo esempio di nuove entità politiche, inserite però in un rinnovato disegno europeista. Questo consentirebbe anche in Valle d'Aosta di riprendere il tema di come sarà in futuro la nostra Autonomia speciale e quali nuove tappe prefigurarsi per uscire dalle sabbie mobili.