Quando mi capita di incontrare persone nel mondo, a cui devo spiegare dove si trovi il mio Paese, non sempre è facile per loro capire dove si trovi la Valle d'Aosta e non c'è esatta corrispondenza fra la difficoltà di conoscenza geografica e la distanza del luogo dove il mio interlocutore abita. E' più una questione culturale che pesa o anche nient'altro che elementi di casualità, che magari permettono alla persona di capire di quale luogo io parli. Se le grandi città del Nord - tipo Milano e Torino - possono servire a chi arranca come riferimento utile per georeferenziare la Valle, può essere utile citare due montagne, il Monte Bianco ed il Cervino. Scoprendo, ma sappiamo che non è una novità, come per molti queste vette sono associabili a Francia e Svizzera e non al nostro versante.
Si sa che come per fama - nella sua logica di "montagna solista" - a spiccare sia il Cervino e lo ha dimostrato anche l’insieme di celebrazioni, pur striminzite sul lato valdostano, in occasione dei 150 anni della conquista della montagna dai due versanti, che hanno ricordato la risonanza della "Gran Becca" e soprattutto del suo nome in tedesco, "Matterhorn". Ricevo in regalo un libro straordinario "Cervino sconosciuto" (edizioni "Grossi", Domodossola, prezzo abbordabile di 34 euro per 173 pagine) da uno degli autori, Enrico Rizzi, che lo ha scritto assieme ai coniugi Aliprandi, Laura e Giorgio, ed al rimpianto Luigi Zanzi. La parte iconografica e fotografica, assolutamente straordinaria, è stata curata da Ludovica Rizzi, ma certo gli Aliprandi - cercatori di documenti rari come dei cani da tartufo - hanno dato un contributo fondamentale. Zanzi, con la sua scrittura ricca e tagliente, propone una "contro-storia" del Matterhorn-Cervino, che è impossibile riassumere proprio per la ricchezza di contenuti che viene adoperata. Estrapolo un pensiero: «A tale profondo sentimento di rispetto per la montagna (del tutto opposto all'idea di conquista) si aggiunge nell'ispirazione propria dell'alpinismo delle guide, un sentimento di ammirazione devota, di stupore incantato, di intesa interiore, con la trascendenza che si avverte talvolta nell'incontro con la montagna, con la sua bellezza, con la sua immanente sacralità. Tutti tali aspetti culturali dell'alpinismo delle guide contrastavano radicalmente con la cultura dell'alpinismo dei turisti, che, nel tempo dell'affermazione dei circoli d'alpinismo (a cominciare dall'Alpine Club inglese) divenne la modalità più diffusa della considerazione delle montagne (soprattutto di alcune vette) da parte degli alpinisti di città. Cominciò allora una tacita opposizione fra l'alpinismo del montanaro e l'alpinismo del cittadino: uno dei punti nodali, uno dei nervi più dolenti, di tale conflitto culturale, fu proprio l'idea di conquista, del tutto estranea al montanaro, e, invece di principale importanza per l'alpinista-turista». Più avanti il testo, sul "Cervino dimenticato dalla letteratura e dall'iconografia" è altrettanto immaginifico ma solido tecnicamente e di una vastità culturale che mozza il fiato, scritto - come dicevo - dai colti coniugi Laura e Giorgio Aliprandi. Ecco un passaggio riguardante il famoso progetto di una funicolare che arrivasse sino in vetta: «Questo ardito progetto rimasto fortunatamente tale si deve all'ingegnere Xavier Imfeld che nel 1891 prevedeva di giungere sino alla vetta del Cervino con un mezzo meccanico in tre tronchi. Il primo con una funicolare da Zermatt a Moos a 1.670 metri, il secondo a cremagliera da Moos a Zumsee a 1.785 metri, il terzo tronco in funicolare entro un tunnel con una salita del 75,5 per cento che portava il vagone a 4.456 metri di altezza, cioè a ventisei metri sotto la vetta. Questo progetto provocò notevoli proteste sia da parte della popolazione locale sia da parte degli alpinisti. Una delle proteste più vibranti è quella dell'Abbé Gorret che in una lettera del 1907 a George Gros così si esprime... "Il Cervino appartiene sia all'Italia che alla Svizzera e mi stupisce che il Governo elvetico abbia dato l'autorizzazione a costruire una funicolare. Gli ingegneri che hanno stilato il progetto sono insensibili alla maestosità e alla bellezza di questa montagna che non deve essere profanata"». Infine, come già in parte fatto dagli autori appena citati, segue un lungo contributo, anch'esso pieno di riferimenti e di notizie, di Enrico Rizzi, intitolato "Il Cervino, Coolidge e Whymper: la corda rotta o tagliata?". Si tratta di uno dei classici delle polemiche alpinistiche, che viene ripercorsa in modo puntuale, sino alle conclusioni secche e sincere: «Una querelle che si ripropone oggi, a 150 anni dagli avvenimenti, e la cui mancata soluzione - nonostante i tentativi britannici di considerarla chiusa - non può che proiettare una lunga ombra su quella pagina cruciale della storia del Cervino». Il libro ha lo straordinario pregio di lasciarti più consapevole di come uno sperone di roccia possa diventare così riccamente imbevuto di storie piene di umanità e di aspetti culturali profondissimi.