Nel lessico infantile di una volta, quando la parolaccia era gravemente sanzionata e si beccava in caso di suo uso una reprimenda e talvolta un scappellotto, uno degli insulti tollerati, nello scambio di innocenti molestie fra bambini, specie nel giochino ben noto maschi contro femmine, era l'epiteto rivolto ad una bambina con cui si battagliava: «Sei una befana!». Ovvio il riferimento alla presunta bruttezza del celebre personaggio. Ora si sente ben di peggio, anche se devo abbastanza tacere sul punto, da quando con l'ultimo bimbo abbiamo inventato il "gioco antiparolacce" - per tacitare una sua certa tendenza - consistente nel mettere una crocetta a chi in famiglia usi la parola impropria. Ed io un certo numero di crocette le ho prese... Ma dicevamo della Befana, che chiude questo periodo di feste piuttosto lungo.
Mi è capitato di ricordare come la Befana sia un unicum italiano, che è pure difficile da spiegare agli altri europei. Infatti si tratta di un personaggio adoperato dal fascismo per la creazione di un immaginario culturale, nutrito appunto da figure aggreganti, a favore del processo di identità nazionale, in quella logica laica nazionalpopolare che aveva in fondo una venatura anticristiana, presente nel confuso background di Benito Mussolini, che aveva messo nel suo progetto politico mille cose diverse. Oggi su questo aspetto è calato l'oblio e la Befana è diventata l'ultimo corollario giocoso del periodo natalizio, visto che nelle prossime ore - spunteranno (con dolcetti e carbon dolce) le calze della Befana con i dolciumi. "Befana" che deriva da leggende degli Appennini e la definizione nasce da una storpiatura di "Epifania". Parola che, a sua volta, passa dal greco al latino "epiphanīa", appunto "manifestazione di Gesù ai Re Magi", derivata appunto dal greco "epipháneia, manifestazione, apparizione", derivazione di "epiphaínomai, mostrarsi, apparire". Nella definizione della vecchina resta in fondo quel significato vero, anche nella tradizione cristiana valdostana, dei Re Magi, che sopravvivono non solo nelle celebrazioni liturgiche ma nei presepi che restano viventi ancora quando l'albero di Natale è già stato smontato, anche se poi loro stessi, come la Befana, sono più una costruzione fantasiosa che personaggi esistiti come noi li abbiamo rappresentati nella tradizione. Quel che è certo è che non ci ferma mai nella rappresentazione delle nostre vite legata al succedersi di eventi nel nostro calendario. Basti pensare a come dalle ceneri del Natale in Valle d'Aosta derivino, giusto a ridosso, i primi Carnevali, spalmati poi nei mesi a venire. Anch'essi un complicato incrocio, presente in tutte le Alpi, di significati antichi. E in Valle d'Aosta, prima a Donnas e poi ad Aosta, si aggiunge la tradizione, aspettando la rinascita della Natura che inizia dopo il buio delle giornate delle settimane precedenti, delle grandi fiere dell'artigianato, un tempo strettamente legate ai lavori contadini ed agli attrezzi necessari. Mentre oggi si parla di attrezzature agricole e di feste all'insegna di quelle Veillà che animano i borghi con momenti di festa collettiva. Esiste in questo punteggiare l'anno di tappe fisse qualcosa di rassicurante e, pur nel cambiare che avviene per ovvie ragioni, c'è sempre un lungo fil rouge che ci ricollega al passato. Anche questa continuità, ricca poi di aggiunte e cambiamenti, è quanto fonda la coscienza ed il senso di appartenenza di una comunità.