Non se ne può davvero più delle "giornate" dedicate a qualcosa: che siano "mondiali", "europee", "nazionali" o decise in autogestione da chiunque di noi. Manifesto una certa overdose, che finisce per mettere tutto in un grande sacco che rischia ormai di essere quello della spazzatura. Non c'è data libera e anzi nello stesso giorno ormai si sommano le cose più varie senza neppure una grande logica, se non ammonticchiare nel nome del sempre più svilito "politicamente corretto", che lava coscienze come cattive confessioni con quattro "Pater Noster" che ridanno l'anima candida anche a un mammasantissima della Mafia. Il rischio crescente è che sia una specie di "mercato delle pulci", dove finiscono prodotti ormai usati, mentre sopravvengono nuovi spunti per nuove giornate, esattamente come avviene per le diverse categorie di "patrimonio dell'Umanità" dell'"Unesco", mancando all'appello il dito alluce di mia zia, la vecchia "500" di mio cugino ed il meleto del mio vicino di casa. Così vedo con tristezza un declino della "Giornata internazionale della Montagna", che ha le sue radici nel 1992 con l'adozione del capitolo 13 della "Agenda 21 - Managing Fragile Ecosystems: Sustainable Mountain Development" in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo.
Erano anni in cui mi occupavo molto di questi temi e in prima fila, sempre più entusiasta anche di questa visione mondialista che facesse da Rete fra popolazioni di montagna sia per uno scambio di esperienze sulla base delle evidenti analogie territoriali che forgiano culture e economie dei popoli montani sia inseguendo l'utopia di una cooperazione per lo sviluppo che permettesse di aiutare dalle montagne dell'Occidente quelle della parte più povera del mondo. Quella che mi pareva essere una crescente considerazione per i problemi delle montagne portò l'Assemblea generale delle Nazioni Unite a dichiarare il 2002 "Anno Internazionale delle Montagne" ed ebbi l'onore - mi pare con buoni risultati - di presiedere il Comitato italiano. La stessa Assemblea generale dell'Onu designò l'11 dicembre di ogni anno e questo avvenne a partire dal 2003, come "Giornata internazionale della montagna" (abbreviata con la sigla "Imd"). L'organizzazione delle celebrazioni è nelle mani della "Fao" (l'agenzia delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura), che ha sede a Roma, la cui ottica specifica è ben comprensibile e direi legata più ai Paesi in via di sviluppo che a realtà come quella alpina. In fondo un recinto in cui la giornata è stata rinchiusa, con tutto il rispetto per lo staff "Fao" che se ne occupa con impegno e competenza. In Italia pare sparita ogni logica di coordinamento fra istituzioni ai diversi livelli di governo e fra le associazioni. Direi che spicca solo il "Club alpino italiano", essendo per altro suo compito precipuo, accendendo un meritorio faro sulla situazione delle zone appenniniche terremotate del Centro Italia, già in crisi enorme prima del sisma e figurarsi oggi. Per il resto siamo al "fai da te" ed ognuno - Valle d'Aosta compresa, che un tempo faceva da capofila e traino e oggi fa delle cosine - va dove vuole e sembra mancare quel respiro che portò all'Anno internazionale. Non che manchino i convegni, anzi quelli fioriscono, ma di "convegnite" si può anche morire.