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18 nov 2016

Un libro per capire

di Luciano Caveri

La Storia mi interessa non solo per un'utile conoscenza culturale e perché il presente è comprensibile solo conoscendo il passato, ma anche per la necessità di verificare le possibili ricorrenze negli avvenimenti storici - che pure mutano a seconda delle circostanze in cui si sviluppano e non sono mai uguali - alla ricerca di elementi di comparazione. In questo senso, ma lo dico en passant, ci sono segnali inquietanti in questo mondo turbolento che ogni tanto mi fanno temere il peggio, specie per certi elementi premonitori - in politica ma anche nell'economia - di venti di guerra e spero davvero di sbagliarmi. Per capire certi aspetti della Valle d'Aosta in epoca fascista e poi nel dopoguerra, consiglio la lettura del libro di Claudio Brédy "Fascismo, consenso e organizzazione di massa in Valle D'Aosta - L'Opera Nazionale Dopolavoro" per la "Collection La Gerbe" dell'editore "Le Cháteau".

Claudio - persona seria e coerente e ce n'è bisogno - dimostra come studioso un uso accurato degli strumenti di ricerca, una capacità di analisi approfondita e una visione lucida di inserimento di un tema specifico in un quadro complessivo. Premetto che prima di leggere il libro ho partecipato alla sua presentazione e in certi passaggi del dibattito pareva quasi che ci fosse nel volume una qualche tentazione revisionistica rispetto al Ventennio, mentre in realtà quel che traspare dal lavoro di Brédy è una visione non preconcetta e nessun mascheramento di una realtà storica da affrontare senza ideologismi. Mi riferisco ad un'adesione dei valdostani al Fascismo con più o meno convinzione, per scelte volute od opportunistiche, che dimostrano un'area grigia di accettazione passiva come avviene purtroppo in tutte le dittature e questo valorizza chi non si piegò al conformismo. Il libro si occupa dei "Dopolavoro", sviluppatisi anche in Valle, in molti casi innestandosi sulle precedenti "Sociétés ouvrières de secours mutuels et protection", a partire dalla Seconda metà degli anni Venti nel quadro della nascita dell'Opera Nazionale Dopolavoro, che si afferma nella Provincia di Aosta nata nel 1927 (con il Canavese annesso) con una certa lentezza sino ad ottenere una forte penetrazione nel mondo operaio, tenendo conto anche degli importanti vantaggi specie negli sconti per chi possedesse la tessera, e ciò avviene nel legame con grandi aziende come la "Cogne" di Aosta, la "Soie" di Châtillon, l'"Ilssa Viola" di Pont-Saint-Martin (uso i nomi francofoni dei paesi che il fascismo grottescamente italianizzò). Il mondo della borghesia aostana ne restò in generale estraneo, così come avvenne con il mondo rurale e questo non piacque per nulla alle autorità fasciste, che spingevano su questa iscrizione come uno degli strumenti di fascistizzazione per creare l'"uomo nuovo" e si ritrovano con sezioni dopolavoristiche che più che indottrinare organizzavano perlopiù feste, gite, attività sportive e alpinistiche, spettacoli teatrali e di opere liriche, ascolti collettivi della radio e visioni di pellicole cinematografiche. Con diktat dal centro per valorizzare decisioni del Duce, tipo il "Natale di Roma", le "Feste dell'Uva" e le celebrazioni della "marcia su Roma". Ma anche con reprimende per balli troppo chiassosi e troppo alcol in giro. Inutile aggiungere che questa arma propagandistica, come capita in tutti i regimi totalitari in cui "panem et circenses" è importante, diventa anche un'arma di distrazione di massa rispetto alle azioni liberticide, alle leggi razziali e soprattutto all'entrata in guerra e nei confronti del lento declino del fascismo sino alla Repubblica di Salò, quando la Resistenza in Valle diventa un fenomeno importante. Significativa è quella parte del volume in cui si analizza l'attenzione del Regime - supportato da personalità discusse come Jules Brocherel - verso fenomeni culturali della tradizione valdostana mai letti in una logica di particolarismo locale ma semmai inseriti nel filone di un folklore nazionale sempre a supporto dell'ambiguo filone del Fascismo sociale (di cui fa parte anche il mito del montanaro "puro" come spiega Marco Armiero in "Le montagne della patria"), che oggi viene letto da molti nostalgici come il lato buono della dittatura, come se si potessero tenere diverse contabilità parallele in un giudizio storico che invece dev'essere forzatamente complessivo. Un libro da leggere, con delle foto d'epoca e documenti, che ci pone di fronte ad un filone interessante - quello della quotidianità di quei tempi con una proiezione conseguente negli anni cruciali per la Valle della ricostruzione - che consentirà sempre di più di capire un periodo storico e questo non può che essere positivo, sapendo che poi ognuno di noi resta legittimato a leggerlo con lenti diverse.