«Dacci oggi il nostro pane quotidiano»: questa frase, fra le più pronunciate nella preghiera più nota, potrebbe essere posta a premessa. Quando si dice "pane", se hai avuto la fortuna di girare un pochino il mondo, dietro la formula "prodotto alimentare ottenuto dalla cottura nel forno di una pasta composta di farina e acqua" si sa che si nascondono un sacco di varianti, che dimostrano la straordinaria ingegnosità umana e le differenze culturali, frutto anche delle condizioni ambientali e dunque dei cereali di partenza, delle farine conseguenti, della lavorazione degli impasti e dei metodi di cottura.
Il numero uno nel mio ricordo è il pane cucinato sotto la sabbia in Egitto dai beduini! Senza fare troppi viaggi, basterebbe comunque guardare alle Regioni in Italia e alle centinaia di varianti esistenti nel resto d'Europa per cogliere la varietà dei prodotti. Come spesso avviene, l'etimologia è una pista interessante, dal latino "pāne(m)" con varianti che vanno dal francese "pain" all'occitano e francoprovenzale "pan", dal catalano "pa" allo spagnolo "pan", dal portoghese "pão" al rumeno "pîine". A sua volta il latino "pānis" risale a "*pas-nis", dalla radice di "pāscĕre - nutrire" insieme a "pastus - pasto" e "pastor - pastore". Ma in realtà ciò sottende sistemi molto articolati che nell'agricoltura tradizionale tendevano a creare sistemi di sussistenza dal raccolto del cereale sino al pane cotto e conservato. Oggi di questa filiera si è in parte persa la consapevolezza e ricordare la tradizione è un dovere. Per cui trovo interessante che nel prossimo fine settimana in una cinquantina di forni in altrettanti località della Valle si potrà assistere almeno alla fase precedente alla cottura e poi vedere il funzionamento dei forni tradizionali, la gran parte dei quali restaurati nel tempo. Un tempo era questo uno dei centri della socialità dei villaggi ed il pane di segale ("lo Pan ner") veniva cotto una volta l'anno, prima dell'inverno, per farne una scorta a lunga conservazione. Purtroppo ormai la segale coltivata in Valle, malgrado qualche ripresa nelle coltivazioni, non basta alle necessità. Posso dirvi, come curiosità, che per l'appuntamento del week-end è stato il mulino "Sam" di Montalto Dora, storico fornitore di gran parte dei panifici valdostani, a fornire 39 quintali di segale integrale di provenienza italiana e straniera, che sarà mischiata ad una parte di frumento. Un tempo anche in Valle si faceva in mulini ad acqua locali e in Valle ce n'erano centinaia, che spesso hanno dato vita ai toponimi delle località dove si trovavano. Ha scritto Maria Cristina Ronc nella guida della Comunità Montana Monte Cervino: «Necessitando di un corso d'acqua per il suo funzionamento, raramente il mulino viene edificato all'interno del villaggio. E' in genere costruito nel luogo più vicino servito da un corso d'acqua o, al limite, in una zona accessibile a più centri abitati. Strutturalmente è, in genere, composto da tre livelli; la pendenza del terreno oppure una scala consentono l'accesso al piano più alto dove vengono depositati i cereali. Questi, attraverso una botola, sono versati al livello inferiore nella tramoggia che ne regola il flusso, lento e regolare, alla pesante mola. Il livello più basso, interrato o seminterrato, ospita il meccanismo di trasmissione necessario per il movimento della mola. Questa è infatti collegata, tramite un perno verticale e degli ingranaggi, alla grossa ruota provvista di pale, mossa dalla spinta dell'acqua. La ruota può girare sia su un asse verticale (in questo caso è ospitata nel locale più basso) oppure orizzontale (in genere, per motivi di ingombro, esterna al fabbricato)». Proprio a La Magdeleine si sviluppa un impianto a catena - fatto da otto mulini - del tutto ingegnoso c'è nelle frazioni di Brengon, Clou e Messelod, allineati rispetto ad un piccolo corso d'acqua che trae origine da alcune sorgenti sotto le pendici del Monte Tantané, luogo abitato sin dall'antichità. Certo oggi e tutto più moderno e solo il "Mulino Bianco" ha inchiodato al passato il povero Antonio Banderas nell'improbabile veste di un mugnaio di un vecchio impianto in guisa in più di improbabile pasticciere. Ah, la pubblicità!