"Qualunquismo", "populismo", "demagogia": è uno strano cocktail quello di fronte al quale ci troviamo oggi ogni qual volta capiti di parlare di politica. Ancora ieri in una discussione da bar mi sono alla fine arreso per sfinimento di fronte a certi argomenti ripetitivi, che alla fine sembrano essere come dei cocci di quel che resta delle speranze della Democrazia. Eppure slogan e parole d'ordine si fanno strada in menti fragili e non attrezzate e ognuno rischia di diventare semplice ripetitore, pure di argomenti che non conosce. Così - come in certe discussioni oziose sui "social" - alla fine mi sono sinceramente stancato di combattere contro leggende metropolitane, ricostruzioni fantasiose, balle spaziale, dati sbagliati ed altri fantasmi che agitano il peggio.
Questo, alla fine, è diventato sempre più il lato oscuro della Democrazia. Giorni fa, per un cortese invito che mi ha pure stupito, mi sono ritrovato a parlare ai giovani della "Jeunesse Valdôtaine", che festeggiavano i settant'anni dalla loro nascita. E' un peccato che di quella generazione fondatrice - eravamo appunto nel 1946 - non sia rimasto nessuno a testimoniare la gioia e la speranza di quel dopoguerra, quando in Valle d'Aosta la "question valdôtaine" accendeva gli animi e animava il dibattito. Dalla fiammella della "Jeune Vallée d'Aoste" e dalla nascita di quel grande Movimento popolare che fu l'Union Valdôtaine (anche se poi l’andamento elettorale è stato nei decenni successivi assai ondivago) emerse una generazione di persone "che ci credevano" e che soprattutto - prescindendo dalle proprie storie personali e condizione sociale - ottenevano nel contatto con la Politica quelle ragioni e quelle motivazioni che portarono ad una mobilitazione che era un credo basato anche sulla acquisizione di competenze. Si direbbe, ma valeva anche per grandi partiti di massa, una formazione continua e permanente che, come una nervatura, attraversava in modo orizzontale e verticale la società valdostana. Poi, piano piano, l'Autonomia speciale da fuoco pieno di vigore è diventata routine e soprattutto si è parte trovata - come gli alberi spogli d'autunno - sul viale del tramonto della coscienza politica come arricchimento personale, relegando studio ed approfondimento in un armadio dei ricordi. Oggi cresce il rischio di un analfabetismo istituzionale e di un elettorato impoverito nelle sue decisioni, pilotato da cambi d'umore che seguono il flusso delle cose senza mai fermarsi a riflettere. La Valle d'Aosta di domani, ma questo vale anche per l'Italia e l'Europa, si trova oggi di fronte a scelte decisive. Non sono molto ottimista di questi tempi, a differenza del mio solito penchant caratteriale che preferisce il "mezzo pieno" al "mezzo vuoto", perché noto in molti un progressivo deserto culturale, che si riflette anche sull'identità di cittadinanza o, se preferite, sulla coscienza civica. Per questo dicevo ai ragazzi della "Jeunesse" che, se come temo, anche per l'Autonomia valdostana, c'è il rischio di un attraversamento del deserto, allora bisogna riflettere su quei meccanismi di formazione personale politica che non significa "indottrinamento bovino" o "accecamento ideologico", ma fornire gli strumenti di base che consentano di ragionare con la propria testa e di acquisire quelle nozioni che permettono di poter affrontare determinati argomenti. Né "robottini asserviti" né "schiavetti telecomandabili", ma cittadini ragionanti e consapevoli che sappiano affrontare una realtà sempre più complessa e costruiscano quella rete solidaristica e prepolitica sui cui può poggiare ogni aspetto di difesa territoriale e identitaria della Valle d'Aosta di domani. Lo studio, il confronto, il ragionamento sono elementi fondanti e lo dico non per fare il primo della classe (non lo sono mai stato), ma perché il rischio di impoverimento in una piccola comunità è come un virus contagioso che crea una sorta di sterilità che non consente di andare avanti. Ogni generazione ha le sue responsabilità ed ai giovani spetta il compito di trovare strade nuove e prospettive diverse. Chi ha accumulato esperienza può solo trasferire certe competenze ed acquisizioni che poi vanno digerite e rielaborate da chi si troverà ad avere in futuro delle responsabilità a tutti i livelli. Se la catena generazione si spezza, anche la Valle d'Aosta resterà sospesa in una bolla di sapone e si perderà questa immagine della pianta che cresce e si sviluppa con nuove gemme che si rinnovano stagione dopo stagione. La pianta, come dicevo, diventa spoglia e poi secca. So bene che il problema di una eclissi della politica come strumento partecipativo e consapevole non è un fatto valdostano, ma forse qui si possono limitare i danni, in un momento di passaggio in cui tutto ondeggia e la tentazione è quella di ripetere come pappagalli storie del passato, mentre la freschezza della linfa sta nel continuo rinnovarsi delle cose, perché altrimenti si vive in un museo o in un congelatore e non nella vita vera e pulsante, in cui bisogna muoversi trovando nuovi stimoli e la capacità di adeguarsi ai mutamenti, pena il declino.