L'altro giorno, assieme alla sua mamma, in una sessione filmica formato famiglia ho fatto vedere al mio bimbo più piccolo il film memorabile - almeno per me che all'epoca avevo la stessa età di Alexis oggi - "Mary Poppins". Confesso di essermi divertito a rivederlo, come può avvenire sul filo della nostalgica memoria, ma direi che anche il pargolo si è divertito molto. Certo tutte le modalità audiovisive fanno molto più parte del suo bagaglio di quanto lo fossero per me all'inizio degli anni Sessanta, quando andare al cinema era una magia e la televisione un oggetto misterioso. La storia, ambientata nella Gran Bretagna edoardiana della "Grande Depressione" di inizio Novecento, è stranota e riguarda la tata, un pochino magica, piovuta dal cielo di Londra. Si occuperà di Jane e Michael, due bambini scatenati almeno rispetto agli standard di allora...
Coprotagonista è Bert, il divertente spazzacamino amico di Mary, anche lui dotato di strani poteri, come quello dei viaggi dentro i disegni fatti per terra con il gesso. La svanita madre dei bambini, la signora Banks, è una suffragetta, che rivendica - quanto avverrà in Inghilterra nel 1918 - l'ottenimento del diritto di voto anche alle donne. Il signor Banks rappresenta, invece, il modello tradizionale di padre: severo bancario, poco affettuoso con i figli e distante dai loro problemi, se non convinto che solo la severità giochi un ruolo nell'educazione. Sarà Mary Poppins a convincerlo del contrario nel solito finale gioioso, in cui resta però una certa tristezza nell'uscita di scena solitaria della bambinaia dai poteri straordinari, che se ne va volando con il suo ombrello. In realtà credo che nessuno conosca il libro originario - io non l'ho mai letto, ma so che il film se n'è discostato - di Pamela Lyndon Travers, pseudonimo di Helen Lyndon "Guinty" Goff (Maryborough, 9 agosto 1899 - Londra, 23 aprile 1996), australiana naturalizzata britannica. Scrisse quel libro da ragazza come antidoto contro una depressione materna e fu un successo, ma solo la trasposizione cinematografica le dette la popolarità vera, anche se a lei la pellicola non era piaciuta affatto. Chi si era intestardito di fare del romanzo un film fu Walt Disney in persona, che convinse l'autrice a cedere i diritti dopo un lungo braccio di ferro, anche se alla Travers non andò giù affatto che lo storico fondatore della Disney avesse riempito la stanza della sua camera d'albergo a Los Angeles con tutti i pupazzi del bestiario disneyano (guardate il film "Saving Mr. Banks", che racconta questa storia di come il libro diventò film). Resta il fatto che il film fece un sacco di soldi, vincendo cinque "Premi Oscar" ed è rimasto un classico del cinema, in particolare di quello d'animazione e mi sembra che, almeno per ora, regga la botta del tempo. Aggiungo che il film è stato scelto per la preservazione nel "National film registry" della biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Certo - intendiamoci - il filone della "Disney" può piacere o non piacere, anche perché poi in realtà c'è ormai di tutto nella sua filmografia, comprese storie che hanno letture infantili ma anche battute per adulti, ma non si può negare di quanto abbiano inciso nella storia personale di ciascuno di noi. Basti pensare - nel film in esame - al «supercalifragilistichespiralidoso» o al «Basta un poco di zucchero e la pillola va giù», per non dire del «Cam-caminì spazzacamin» per avere la certezza che sono in pochi ad essere sfuggiti alle canzoncine di Mary Poppins, che io so - non a caso - a memoria. Se il punto di riferimento erano nel film l'ormai ottantenne Julie Andrews ed il novantenne Dick Van Dyke, ora arriverà il proseguimento del film con il volto della graziosa Emily Blunt, inglese come la Andrew. Tuttavia non sarà - così è stato spiegato - un remake, ma un'estensione dell'originale che passa dalla crisi economica di allora a quella del 1934, anno in si ambienterà la storia dopo la crisi del 1929. Crisi del passato che fanno pendant con quella attuale e sembrano dirci che non bisogna mai disperare. Gli americani ormai seguono questo filone dei ricordi, tornando sui grandi successi del passato. Per altro è vero che la generazione del "baby boom", cui appartengo, cerca di convincere figli e nipoti di quanto quei decenni del dopoguerra siano stati unici e irripetibili. Circostanza in parte vera ed in parte deformata dal fatto che tutto quel che è legato ad infanzia e giovinezza risplende di una luce particolare. E in fondo riflettere un po' di quella luce, anche se più artificiale che naturale, non credo sia un peccato.