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04 set 2016

Una speranza per Amatrice

di Luciano Caveri

Nessuno, se non qualche romano nelle redazioni, è stato in grado - nell'immediato post terremoto - di associare la pasta all'amatriciana con la località appenninica, Amatrice, per connotarla geograficamente, specie quando non si comprendeva ancora il grado di distruzione e soprattutto il terribile elenco delle vittime (almeno 230 nel paese e nelle sue 69 frazioni che risalgono una montagna che dai mille metri sale fino ad oltre 2.400 metri). Traggo un pezzo di storia dal sito agrodolce.it, che parla di Roma: «Nell'800, nel rione Ponte (zona di piazza Navona area ponte Sant'Angelo), esisteva un vicolo chiamato "de' Matriciani" (dopo il 1870 "vicolo degli Amatriciani") ed una piazza (oggi "piazza Lancellotti") dove i Grici (Sabini) tenevano mercato, vendendo pane, salumi e formaggi dei monti Sibillini; sostavano poi nei pressi di una locanda chiamata "L'Amatriciano"».

«Questo sugo è figlio quindi della gricia (o griscia) - si legge ancora - piatto di spaghetti o maccheroni conditi con olio, pepe e barbozzo o guanciale, nato in un paese reatino di nome Grisciano. Cosa certa è che l'aggiunta della salsa di pomodoro risale alla fine del diciassettesimo secolo". Sempre in queste ore si sarebbe dovuta tenere la sagra annuale dedicata alla pasta e invece si è passati dalla luce al buio in un istante... L'altra manifestazione importante in paese, fra marzo e aprile, dalla logica scherzosa e carnevalesca è il "Palio dei Somari - Sindaci" di Amatrice: una corsa di somari con spettacolare corteo dei figuranti in abiti d'epoca, che associa gli animali ai Comuni della zona (ogni ciuco ha il nome del sindaco!) in una sfida ridanciana che si svolge in un "Somarodromo". Verrebbe da dire che dovrebbero gareggiare molti di quelli che oggi parlano di rapida ricostruzione del paese (e la comparazione con L'Aquila non è possibile, perché è una città da 69mila abitanti!). Perché lo fanno senza capire che non si tratta solo di rimettere in piedi le abitazioni dei cittadini sinistrati (sulle seconde case immagino bisognerà ragionarci), ma di capire cosa si vuole fare per ridare linfa vitale ad un paese in declino per questa emigrazione secolare verso la pianura, specie appunto a Roma, acceleratasi nel tempo in modo impressionate. I dati parlano chiaro e di certo la fotografia attuale - l'ho sentito dire dal sindaco - sconta residenze non corrispondenti a presenza reali in paese, specie d'inverno, dunque dei residenti fittizi o meglio d'affezione. Allora: al censimento del 1861 gli abitanti erano ottomila, che diventano diecimila nel 1911, per poi scendere sempre di più da allora. Dieci anni fa gli abitanti erano erano 2.745, alla fine dello scorso anno erano 2.657 (204 stranieri, in maggioranza romeni ed albanesi, mentre nel 2006 i cittadini stranieri erano solo in 92) ed i luttuosi decessi per via del sisma aprono ora una nuova e inattesa emorragia. Bisognerebbe approfittare della tragedia non solo per riparare i danni materiali, ma per capire se quel paese possa essere un modello di rinascita nel cuore dell'Appennino per un riscatto morale, produttivo e demografico senza il quale lo spopolamento si accelererà ancora. Nel passato l'unica risposta fu nel 1991 quella solita: inserire il paese nel "Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga". Ambientalismo burocratico che soffoca la democrazia locale, altro che sviluppo della montagna! Così viene sempre più marginalizzato l'uomo nella considerazione che sia una specie di accidente negli spazi naturali! Mi auguro che Amatrice segni dunque una svolta per avere - come un fiore sulle macerie - un Appennino di nuovo vivo e non sotto tutela.