L'ho vista anch'io la coppia di turisti in jeans sul "Ghiacciaio del Gigante" sull'orlo di un crepaccio, segnalati con preoccupazione nel loro avventurarsi su terreno insidioso e potenzialmente mortale dalla guida alpina Gianluca Ippolito di Sarre su "Facebook" e finiti poi ritratti sui giornali nel loro inconsapevole essere diventati un simbolo. E non erano i soli, venerdì scorso, perché ero lì in zona, ad essersi avventurati - direi "fantozzianianamente" - fuori dal perimetro sicuro della parte sommitale dello "Skyway", senza avere con sé l'attrezzatura necessaria e senza avere soprattutto coscienza dei pericoli di quella massa di ghiaccio e neve apparentemente - per chi sia digiuno di montagna - senza insidie nel suo candore.
Eppure segnalazioni e sbarramenti per chi fosse preso dalla fregola di gironzolare per i ghiacciai, senza il necessario e senza cultura alpinistica, ci sono e ben visibili, per cui chi supera la zona sicura lo fa ovviamente a proprio rischio e pericolo, ma in caso di incidente tocca poi ai soccorritori intervenire per salvar loro la vita, rischiando la loro in un ambiente ostile. Per cui non si invochi il libero arbitrio - della serie: "la vita è mia e dunque me la gioco come voglio" - rispetto a gesti improvvidi in montagna. E questo non vale solo per i turisti della domenica a passeggio in zona rischiosa,ma anche quegli alpinisti, pur vestiti di tutto punto e con conoscenze del territorio alpino, che forzino il loro livello oltre ai limiti ragionevoli, proprio contando - perché anche questo purtroppo avviene - sul "Soccorso alpino" elitrasportato. Ed il deterrente del pagamento dei costi di intervento - per altro solo per casi macroscopici - pare non essere una misura sufficiente. Quel giorno dello scatto della foto, in effetti, alla partenza della nuova funivia del Monte Bianco da Courmayeur e poi nella fantastica cabina rotante l'occhio cadeva incuriosito su persone che salivano sino a "Punta Helbronner" con abbigliamento non consono e non mi riferisco solo a chi avesse flebili ambizioni alpinistiche, ma a chi dovesse solo salire e scendere dalle scale delle terrazze panoramiche. "Mal comune, mezzo gaudio" verrebbe da dire, ma scherzando, proprio pensando a certi look visti all'"Aiguille du Midi" con un maggior gradiente internazionale, dovuto al cosmopolitismo più accentuato del versante di Chamonix. Una serie fotografica potrebbe dar conto di diversi e estrosi abbigliamenti: dai completi da spiaggia con ciabatte infradito o "espadrilla" a trasparenze ed "hotpants" da discoteca, da tute in acetato con scarpe da tennis a completini eleganti da prima Comunione con scarpe di vernice. Per altro i francesi, con ruvido pragmatismo, propongono pochi cartelli minacciosi dove ci si avvia verso il ghiacciaio, senza dover oltrepassare impedimenti fisici. Della serie: "fatti vostri se siete stupidi". Sul versante valdostano si è più muscolosi, d'altra parte sui treni italiani esiste l'imbattibile "è severamente vietato", come se il divieto avesse diverse gamme di gravità e il "severamente" fosse un "babau" agitato apposta perché si sa che il divieto stesso - senza previo uso di un avverbio minaccioso - non sarebbe preso sin da subito sul serio. Che fare lassù sulle montagne? Gli elitari la fanno semplice: «che si sopprimano le funivie e vadano lassù solo quelli che se lo meritano». Altri dicono: «creiamo una selezione in partenza con regole chiare e chi è fuori norma se ne torna a casa». Oppure c'è chi immagina, sul confine delle zone a rischio, un finanziere o un gendarme che agiti un libretto delle multe e un "foglio di via". Io non ho soluzioni certe, pensando che dovrebbe sopravvenire l'intelligenza personale e il senso di autoconservazione, ma evidentemente vivo in un mondo che non sempre capisco e che obbliga a leggi, leggine, regolamenti, direttive e prescrizioni (tipo l'annuncio di ieri sulla pericolosità della "via francese" al Bianco) anche contro l'ovvietà dei comportamenti. Per poi avere qualcuno che si lamenta di questo interventismo, quando in effetti basterebbe il buonsenso, che però - ahimè - non sempre c'è e dunque tocca fare di necessità virtù.